L’alterità è stata presente dal primo minuto del congresso liturgico internazionale ,Viste da fuori, che ha avuto luogo nella comunità monastica di Bose dal 2 al 4 giugno 2016. E ha segnato il cammino evolutivo che la Chiesa sta compiendo in questi anni. La domanda nel convegno è stata, come meglio raffigurare tale cammino negli edifici che ospitano le comunità e che le rappresentano agli occhi del mondo.

 

Non a caso, nella sua prolusione, il Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, Mons. Nunzio Galantino, ha indicato non solo nella rilevanza della dinamicità della Chiesa, ma anche nella sua apertura al dialogo col mondo secolarizzato nel quale essa vive, alcuni degli aspetti caratteristici di questo nostro tempo.

E nelle sue considerazioni conclusive il priore, Enzo Bianchi, ha fatto riferimento alla grande tradizione cristiana europea o, meglio, alla tradizione europea che diviene cristiana nel corso della storia e tale permane, in quanto capace di accogliere e filtrare impulsi e suggestioni dal mondo della Grecia classica, dalla tradizione ebraica e dall’effervescente azione islamica. Con la peculiarità, rispetto ad altre culture, di essere capace di autocritica: senza la quale ben difficile è apprendere il nuovo.

Infatti, sinché si resta prigionieri di ideologie, si è portati a ripetere errori passati. Non per nulla il detto ,errare humanum est, perseverare diabolicum, che riassume proprio questo atteggiamento indicato da Enzo Bianchi, esprime una cultura latina che raccoglie influssi greci classici e si traduce nello stoicismo ma solo nella tradizione cristiana e specificamente agostiniana trova la sua migliore espressione.

L'apertura del convegno, da sinistra: S. E. mons Nunzio Galantino, p. Enzo Bianchi, mons Valerio Pennasso. Foto Irena Kuletin
L’apertura del convegno, da sinistra: S. E. mons Nunzio Galantino, p. Enzo Bianchi, mons Valerio Pennasso. Foto Irena Kuletin

I convegni liturgici di Bose sono giunti alla loro XIV edizione, avendo esplorato anno per anno lo spazio per il culto, a partire dall’altare e dagli altri poli liturgici, per diffondersi sugli aspetti artistici al culto collegati e infine al rapporto tra luogo di culto e città.

In questa serie di esplorazioni, l’architettura è sempre stata presente come occasione espressiva e come definizione nella concretezza tridimensionale di un’azione che si dispiega su ben altri piani: ma che solo attraverso lo spazio diviene visibile e�

si tramanda nel tempo. E come la disposizione dei poli liturgici consente l’esercizio della liturgia e resta quale testimonio del modo in cui questa avviene anche al di fuori dell’azione, la chiesa edificio nel suo complesso si pone quale manifestazione concreta della presenza dei fedeli nel mondo.

Quando si tratta di descrivere il luogo di incontro tra ambiti diversi oggi è invalso l’uso del termine “interfaccia”, mutuato dal linguaggio computeristico. La facciata degli edifici è sempre stata una “interfaccia” che media il rapporto tra un interno e un esterno.

E in particolare le facciate delle chiese hanno sempre manifestato il modo di porsi della Chiesa nel mondo: ne hanno parlato con eloquenza il prof. Vittorio Gregotti, che ha ricordato l’evoluzione del rapporto Chiesa-società nel corso delle varie epoche, e il prof. Francesco Dal Co, il quale ha insistito come anche nel corso del ‘900 le chiese abbiano rappresentato il meglio dell’architettura. Non solo in quanto espressione scenografica urbana, ma anche in quanto manifestazione di un appello alla verità dell’essere umano, proprio nell’epoca in cui le ideologie di massa hanno teso a soffocarne il volto nell’amalgama senza nome dei grandi movimenti.

Questi, per inciso, sono stati politici anzitutto, ma sono stati e sono anche culturali e artistici e hanno invaso ogni campo dell’agire e del pensare.

Il progetto delle chiese più di qualsiasi altro tema architettonico risente della tensione tra un’identità che è radicata nelle origini storiche lontane e nello stesso tempo è sempre necessariamente alla ricerca del suo inverarsi nell’attualità.

Al riguardo, di particolare rilevanza è stata la relazione di Andrea Longhi, che ha mostrato come la facciata delle chiese sia una specie di organismo autonomo rispetto alla loro architettura. Perché se l’interno perpetua un rito radicato che segue nell’identità che origina col Fondatore della Chiesa per trasmetterlo alle generazioni, la facciata appartiene bensì alla Chiesa, ma anche alla città. Per cui vi sono casi in cui la facciata cambia nel tempo pur restando immutato l’interno; o in cui per decenni e secoli (o mai) viene costruita.

Al riguardo, ed estremizzando, si potrebbe dire che il cuore della liturgia resta sempre invariato è i cambiamenti attengono più alle modalità espressive che al contenuto essenziale dell’azione liturgica è mentre è l’involucro che la ospita quel che muta nel tempo, inevitabilmente risentendo delle evoluzioni sociali, artistiche e tecnologiche.

Tra gli esempi concreti di edifici per il culto e di facciate presi in considerazione nel corso del convegno spiccano le diverse chiese di Paolo Portoghesi, da lui stesso presentate a partire dalla prima, costruita a Salerno all’inizio degli anni Settanta; la chiesa costruita a Sesto San Giovanni progettata da Cino Zucchi (la cui facciata è stata presa a esempio emblematico del convegno); le chiese progettate da Aimaro Isola e Roberto Gabetti, e dal primo presentate nel corso del convegno. In particolare il prof. Isola ha ironicamente notato di essersi dimenticato  di progettare vere e proprie facciate, perchè il rapporto tra chiesa e spazio circostante è risolto tramite sistemi diversi. Ovvero tramite la definizione di spazi intermedi, sagrati il cui accesso principale è generalmente segnato da una torre campanaria aperta. E attraverso tali spazi si dipana un percorso trasparente, ovvero che consente una visione dell’altare sin da fuori dalla chiesa, ma in cui le soglie che scandiscono il cammino – e in questo modo chiariscono alle persone il senso profondo dell’edificio – sono ben evidenti.

Rafael Moneo illustra la cattedrale di Los Angeles. Foto Irena Kuletin
Rafael Moneo illustra la cattedrale di Los Angeles. Foto Irena Kuletin

Altra analisi significativa del rapporto tra chiesa e città è stata compiuta da Rafael Moneo, parlando della cattedrale di Los Angeles, da lui progettata a inizio degli anni 2000. Una cattedrale che si presenta come una cittadella autonoma entro un grande recinto che occupa un lotto assediato dal trambusto delle autostrade urbane tipiche della capitale californiana.

Il tema di quest’anno, “Viste da fuori” ha porto il destro per una visione riassuntiva che, come ha spiegato il liturgista fr. Goffredo Boselli, conclude il primo ciclo dei convegni e pone le basi per chiedersi come proseguire oltre. Su una strada peraltro tracciata con chiarezza: la chiesa, col suo carico di umanità, per quanto oggi meno evidente di quanto fosse nelle architetture delle grandi cattedrali storiche, è destinata comunque a rimanere al cuore della città.

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