Capitolo 5

Eravamo seduti nella trattoria dell’antico borgo fortificato di Vigoleno, dove l’amico teologo e liturgista don Roberto Tagliaferri ha una delle sue parrocchie che sono anche luoghi dove, assieme alla fede, incontrare l’arte contemporanea. Lo stavo invitando a svolgere una lezione alla Summer school residenziale per giovani architetti che tutti gli anni teniamo a OCRA a Montalcino ( www.ocramontalcino.it ), nell’ex monastero di Sant’Agostino. Quest’anno il tema sarà L’estetica in Architettura: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco, hanno a che fare con la ricerca della bellezza? Non è forse da quest’ultima che devono essere illuminati, più di ogni altra cosa, i diritti umani dell’uguaglianza, della libertà, della dignità e dell’equità sociale? Gli raccontavo la storia del grande complesso monastico di Sant’Agostino a Montalcino consacrato e sconsacrato più volte, da seminario a scuola e poi ancora a ricovero per anziani e ora centro culturale. Mi ha corretto: i luoghi sacri rimangono sacri per sempre.

Visitai per la prima volta la chiesa romanica di Sant’Agostino a Montalcino nell’aprile del 2012, era sospesa dal culto da quasi 15 anni. Era una giornata piovosa e non vedevo l’ora di rifugiarmi in un luogo asciutto. Mi avevano parlato di questa chiesa come della più amata dagli abitanti — a Montalcino le chiese sono 17 — e dei suoi affreschi quattrocenteschi attribuiti a Bortolo di Fredi, della sua storia complessa: fu completata nei primi decenni del 1300, vi furono aggiunti poi due grandi chiostri di impianto cinquecentesco, quindi venne chiusa al culto alla fine dell’Ottocento e trasformata in magazzino; durante la prima guerra mondiale venne utilizzata come caserma, poi riammessa al culto e ultimamente quasi sempre chiusa per lavori di restauro mai conclusi. Lo spettacolo fu tristissimo.

Chiesa del Convento di Sant’Agostino. In corso di restauro.

Dai muri affrescati e dal tetto della navata unica, di proporzioni perfette, le infiltrazioni arrivavano copiose fino a terra. Un sottofondo, ovunque fessurato, in caldana di cemento faceva da pavimento. Gli arredi sacri ammucchiati in diversi punti per lasciare spazio a stendardi di una mostra di qualche anno prima. Alcuni affreschi erano stati fasciati e altri erano in evidente distacco con l’acqua che gli scorreva a rivoli sopra e tra l’intonaco. Un organo di discreta fattura era accatastato sopra un fonte battesimale del ‘500. Mi spiegarono che nel 1997 la copertura della chiesa era stata oggetto di restauro e che nei primi anni 2000, su iniziativa del Comune di Montalcino, al fine di utilizzarla per mostre e concerti, furono realizzate le predisposizioni di impianti tecnologici a servizio del fabbricato mediante la rimozione del pavimento originario in cotto e delle relative lapidi. Tubazioni e guaine impiantistiche sbucavano dal perimetro ai piedi della zoccolatura affrescata nel ‘700. Delle lapidi era rimasta la memoria, ma nessuno sapeva più dove fossero finite. In un sopralluogo più accurato di qualche giorno dopo mi resi conto che il tetto ligneo si era imbarcato sotto il peso di un’improbabile caldana cementizia che avrebbe dovuto avere la funzione di ripartitore di carico tra la trama delle travature secondarie e le imponenti capriate. Al contrario, a seguito del sovraccarico apportato dal massetto armato, la copertura presentava una notevole inflessione dei travetti al punto da compromettere la stabilità del manto di copertura e il normale scorrimento delle acque meteoriche. L’acqua che sgorgava dagli intonaci affrescati era per lo più dovuta all’intasamento dei canali discendenti che, uscendo dai canali di gronda, impregnava le possenti murature perimetrali. Alberi di fico svettavano sul campanile, il più alto della città.

Proposi alla presidenza della Fondazione Bertarelli, della quale dal 2009 presiedo il Comitato scientifico, un progetto di restauro degli affreschi quattrocenteschi che avrei avviato l’anno successivo con un programma pluriennale. Nel frattempo avrei cercato altri fondi che mi avrebbero consentito il recupero funzionale della chiesa e forse dell’intero impianto costituito da due chiostri e da 5.900 mq di superficie dei quali più della metà erano occupati da un ricovero/ghetto per anziani. Negli anni ’70 infatti tutta l’ala ovest dell’ex Seminario, compreso il chiostro maggiore, venne trasformata in ospizio. Nell’ala nord, negli anni ’90 venne ricavato il Museo diocesano e nei fondi sotto le celle, circa 10 anni dopo, un museo etrusco. Entrambi i musei, di notevole fattura e spessore culturale, con accesso dal chiostro quadrato della chiesa — restaurato con copertura in vetro di dubbia qualità architettonica e funzionale — venivano visitati da non più di 5.000 persone all’anno.

Seppi che l’ospizio si sarebbe trasferito altrove nel giro di un anno, e a quel punto l’enorme monumento sarebbe certamente caduto nell’oblio. Su incarico della Fondazione presentai, il 22 marzo del 2013 in assemblea pubblica al teatro cittadino degli Astrusi, un progetto — quanto mai utopico — di complessivo riuso. Spiegai che quando si recupera un complesso come quello di Sant’Agostino non si recuperano solo i suoi muri, ma anche la cultura che in esso ha pulsato. Una cultura urbana basata sull’interscambio tra quello che si produceva dentro l’impianto e al di fuori di questo, in un moto costante di partecipazione. Che il progetto di architettura è tale se rappresenta occasione di nuovi e diversi comportamenti, dove funzione è anche espressione e comunicazione. Che l’architetto ha il compito di rendere concrete le utopie.

Un’esposizione d’arte a OCRA Montalcino.

Quello che abbiamo fatto è stato di orchestrare una serie di attività che rimettessero in gioco questo impianto monumentale apparentemente inadatto a qualsiasi destinazione d’uso contemporanea. Un progetto in grado di rendere questo gigante di pietra, grigio e ingombrante, finalmente aperto alla vita dei cittadini di Montalcino e di conseguenza a quella dei turisti.

L’intento del progetto complessivo, che riconosce all’intero complesso non solo il grande valore artistico culturale, ma anche la strategica posizione e il ruolo urbano che il gigantesco impianto aveva svolto e avrebbe ancora potuto svolgere nella città di Montalcino, era quello di reinserirlo in tempi brevissimi sulla scena urbana trasformandolo, da barriera qual era, a luogo adatto al fluido utilizzo da parte della città, quale contenitore e connettore attivo tra la vita sociale, culturale e turistica.

Abbiamo proposto: la trasformazione dei locali ai piani alti della ex casa di cura per anziani per ospitare la sede del Consorzio del vino Brunello, il ripristino delle attività di culto nella chiesa, la riqualificazione e l’immediato uso del tessuto connettivo originario sul quale si sarebbero attestati con maggior evidenza i musei esistenti e le nuove funzioni collettive e pubbliche.

La chiesa di Sant’Agostino per tutto il tempo del recupero degli affreschi interni si sarebbe trasformata, mediante idonei accorgimenti, in un laboratorio di restauro aperto dove il visitatore avrebbe preso visione delle tecniche e dello stato di avanzamento dei lavori, senza impedirne l’utilizzo per il culto e i concerti.

Il laboratorio aperto di restauro nella chiesa di Sant’Agostino.

Chiesi alla proprietà (il Seminario Vescovile di Siena) di accettare la proposta del Consorzio del Brunello di un comodato gratuito in cambio del restauro dei relativi locali. Allo stesso modo attivai la nostra associazione no profit, “Scuola Permanente dell’Abitare” affinché a fronte di una locazione agevolata e di una convenzione pubblica potesse gestire la porzione già adibita a scuola, per funzioni di didattica residenziale, residenza d’artista, convegni, eventi d’arte e cultura.

Raccordi verticali, funzionali e sicuri.

Partecipai, mediante il cofinanziamento della Fondazione Bertarelli, col progetto di laboratorio di restauro aperto a un bando regionale dimostrandone il potenziale indotto turistico. Richiesi, tramite la proprietà, un finanziamento alla C.E.I. per alcune opere di risanamento strutturale.

Tra il 2014 e il 2017 trovai e spesi le risorse che consentirono sin dal 2016 di utilizzare quasi completamente gli spazi dell’impianto monumentale di Sant’Agostino.

Il restauro degli affreschi verrà ultimato entro l’anno 2018, la sede del Consorzio del Brunello è stata inaugurata a settembre del 2017 e OCRA, acronimo di Officina Creativa dell’Abitare, ha ormai una risonanza internazionale e un discreto numero di occupati.

Laboratori per ragazzi.

OCRA costituisce non solo un incubatore nel quale generare iniziative tali da attivare un processo di riappropriazione della città da parte degli abitanti della Val D’Orcia, ma anche un grande laboratorio di idee sui temi della multiculturalità. Uno spazio collettivo dove si produce arte. Un salotto pubblico che sa essere un luogo intimo di lettura e dibattiti che all’occasione si apre alla folla, un collettivo trasformista che diventa vetrina, associazione, mostra, festa, network di artisti. OCRA è da subito diventata la casa di architetti, artisti, illustratori, video maker, fotografi e musicisti.

Un’esposizione nel contesto di OCRA.

Nessuna istanza intellettualistica né autoreferenzialità: ci piace l’idea dell’ambiente allegro pensato per accogliere in maniera naturale e sorridente. È incredibile come tra un bicchiere e l’altro si possa parlare di arte, progetti, piani per conquistare il mondo, piani per salvarlo, avvicinando il grande pubblico all’arte.

Luoghi per incontri, conferenze, dibattiti, sperimentazione.

Le mostre di divulgazione avviate sui temi legati al rapporto tra arte moderna, contemporanea e le matrici antropologiche sta entrando nel cuore dei cittadini che ne riconoscono anche un tratto distintivo della storia della città.

Un chiostro rivisto per un evento espositivo.
A OCRA uno spettacolo teatrale coi migranti.
SHARE
Previous articleCaltanissetta: percorsi di nuove chiese
Next articleAdotta una guglia: lo sguardo del Duomo di Milano
Edoardo Milesi
Architetto, fonda nel 1979 lo studio Archos orientandosi da subito, attraverso la partecipazione a concorsi di progettazione, verso un costruire fortemente connotato da dettami ecologicamente regolati nell’ambito di una lettura “forte” della realtà. Nel 2008 fonda con un gruppo di artisti e architetti la rivista “ARTAPP” della quale è Direttore. Dal giugno 2009 è presidente del Comitato culturale della Fondazione Bertarelli. Nel 2012 fonda l’Associazione culturale Scuola Permanente dell’Abitare.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here