Di Rosanna Marotta Pasquinelli
Dopo il notevole interesse suscitato al Meeting di Rimini dell’agosto 2023, viene riproposta in varie località del nord Italia la mostra itinerante “Azer, l’impronta di Dio. Un monastero nel cuore della Siria”. Partita da Milano presso il Monastero San Benedetto di via Bellotti (fino al 28 gennaio 2024), prosegue a Udine, Cesena, Besana Brianza, Varese, Luino e Brescia.
L’esposizione è multimediale e racconta l’esperienza di un gruppetto di suore trappiste che nel 2005 partono da Valserena (Pisa) per fondare un nuovo monastero in Siria sulla collina di Azer, vicino al confine con il Libano.
La storia del monastero
In realtà le suore avrebbero desiderato fondare il loro nuovo monastero in Algeria: per raccogliere l’eredità dei monaci – anch’essi trappisti – di Thibirine, rapiti e uccisi nel 1996, allo scopo di mantenere vivo il carisma cistercense (i trappisti sono cistercensi di stretta ossevanza) in terra araba. L’Abate generale dell’Ordine invece respinse questa loro proposta, a causa della situazione politica in Algeria e propose invece la Siria, sia in quanto culla del monachesimo sia perché esempio di convivenza pacifica tra genti e religioni diverse: tale è rimasta almeno fino all’alba del terzo millennio, quando le suore giunsero ad Azer.
Poi nel marzo del 2011 è scoppiata la guerra, causando devastazioni enormi e morti infinite e il conseguente esodo di milioni di persone, soprattutto cristiani, ridotti ora a essere l’1 % dal 10 % che erano nei primi anni 2000. Quindi il Covid nel 2020, un’epidemia di colera nel 2022 e il devastante terremoto del febbraio 2023. Ma tutto questo non ha scoraggiato le religiose che con la loro presenza orante e laboriosa – in linea con la Regola di San Benedetto – hanno continuato a aiutare la comunità locale e, soprattutto, a essere testimoni di speranza viva.
Un importante strumento per sostenere la comunità è proprio l’opera costruttiva, perché le suore si avvalgono di maestranze locali e in questo modo offrono opportunità di lavoro e, a chi non lo conosce, di imparare il mestiere. Al momento il complesso monastico è costituito da un primo edificio già completato, che è chiamato “il monasterino” e comprende i locali di abitazione delle suore, la cappella e i laboratori (dove viene prodotto soprattutto il rinomato sapone di Aleppo), nonché alcune costruzioni a forma di trullo adibite a foresteria destinata sia a ospiti temporanei sia a famiglie del luogo temporaneamente prive di una loro casa. Il tutto è circondato da un bellissimo giardino fiorito, a testimonianza di come l’opera umana può trasformare anche il deserto più brullo, con l’aiuto di Dio. Quando sarà completata anche a parte in corso di realizzazione sarà chiaro come la sua architettura si ispira a quella dell’Abbazia medievale cistercense di Le Thoronet, in Provenza.
A chi obietta che in una terra martoriata come la Siria le risorse (materiali da costruzione, denaro, tempo…) dovrebbero invece essere impiegate per riedificare quanto è andato distrutto a seguito della guerra, le suore rispondono secondo la stessa logica che porta Maria di Betania a versare balsamo profumato sui piedi di Gesù (Lc 10, 38-42): tutto è per il Signore, come lo è la vita monastica, e ciò che ha più bisogno di essere ricostruita, prima degli edifici, è la speranza.
Ne sono consapevoli gli abitanti dei villaggi vicini, sia cristiani sia musulmani, che considerano loro amiche le suore e spesso usano il bel giardino del monastero per fare le foto dei matrimoni, ovviamente anche se di rito islamico.