Inaugurata in 25 marzo del 2019, la nuova Concattedrale di Lamezia Terme è stata progettata da Paolo Portoghesi che ha tratto ispirazione in particolare dagli scritti di Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI.
Nel seguente testo, che gentilmente il professor Portoghesi ci ha messo a disposizione, egli stesso descrive l’opera della sua concezione e progettazione, sullo sfondo di quanto avvenuto dal Concilio in poi.
Concattedrale di Lamezia Terme. La struttura simbolica dell’organismo ecclesiale
di Paolo Portoghesi
Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. (Es,25,8)
Nel progettare la cattedrale di Lamezia Terme, a più di mezzo secolo dal Concilio Vaticano II, si è cercato di tener conto di quanto Benedetto XVI ha sostenuto nei confronti del Concilio: che la sua azione innovatrice è ancora in larga misura da realizzare, correggendo le interpretazioni che ne hanno travisato l’essenza.
Per quanto riguarda le chiese postconciliari il completo distacco dalla tradizione ha tradito l’indirizzo chiaramente definito nella Costituzione conciliare sulla sacra liturgia che al paragrafo 23 afferma : non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti”.
Nel cercare di tradurre in forme architettoniche la riforma liturgica si è spesso adottato al contrario il metodo della tabula rasa , come se l’abbandono della tradizione fosse un requisito non solo indispensabile, ma addirittura sufficiente per ottenere l’aderenza alle nuove norme. In questo modo abbiamo visto nascere due opposti estremismi: quello della conservazione ad ogni costo di modelli in netto contrasto con la riforma liturgica e quello dell’innovazione fine a se stessa che ha prodotto non di rado mostri irriconoscibili.
La strada che si è seguita nel progetto di Lamezia è quella di trovare soluzioni coraggiosamente innovative sul piano della architettura rimanendo però fedeli all’insostituibile patrimonio di esperienze che rappresenta la tradizione della Chiesa cercando di far scaturire le necessarie innovazioni dalla interpretazione di un passato che hanno fatto della Chiesa Cattolica uno dei protagonisti della architettura occidentale.
Questo atteggiamento trova il suo sostegno anche in uno scritto di Romano Guardini, propugnatore della riforma liturgica poi sviluppata nel Concilio: “La fede è coscienza di realtà soprannaturali. La fede è vita in un mondo di realtà invisibili. Abbiamo noi questa fede? Qui dobbiamo iniziare il
rinnovamento. Non distruggere lo “invecchiato” e trovare il “nuovo”. Le grandi parole e le grandi forme della Chiesa scaturiscono dalle profondità essenziali. Cosa mai deve essere qui mutato? Puoi forse modificare la forma della ruota o quella del martello? Esse corrispondono all’essenza.”
Sulla base di queste riflessioni nel progetto confluiscono i suggerimenti dati dalla Chiesa e dalla Conferenza Episcopale Italiana con le esperienze di due millenni di storia del Cristianesimo.
Ogni parte della nuova chiesa, oltre che a soddisfare le esigenze del culto e offrire ai fedeli un ambiente degno e confortevole, tende – per realizzare la “comunione col divino” – a comunicare significati ricorrendo, oltre che al valore psicologico delle forme, al linguaggio dei simboli.
Vediamo ora quali sono i principali significati religiosi che il progetto ha cercato di esprimere.
Il nuovo complesso ecclesiale si propone, attraverso la sua collocazione, la sua dimensione e la emergenza territoriale dei due campanili, di rappresentare nel contesto paesaggistico, l’unificazione spirituale delle tre comunità, di Nicastro, Sambiase e S. Eufemia, come compimento del processo amministrativo avvenuto nel 1968 che ha dato origine alla città di Lamezia Terme, la terza della Calabria per entità demografica.
La chiesa vera e propria non è un edificio isolato ma si pone al centro di un complesso di corpi di fabbrica che ospiteranno diverse funzioni : locali per la canonica, la sagrestia, le funzioni parrocchiali, locali per un centro di coordinamento di altre parrocchie e una grande sala, la più vasta della città per manifestazioni religiose e culturali. Altri locali potranno ospitare la mensa della Charitas diocesana formando una sorta di Cittadella della Carità.
Nel suo insieme i diversi volumi che si collocano simbolicamente intorno alla chiesa facendo eco alla sua forma curvilinea, si porranno, rispetto alla città come un centro di attività caritative e culturali , luogo di richiamo, di apertura e di dialogo.
Per esprimere attraverso la sua forma l’affettuosa accoglienza la nuova chiesa si protende in avanti attraverso i due porticati ai lati della facciata che, come braccia materne, accolgono chi si appresta ad entrare e nello stesso tempo trattengono, dopo le azioni liturgiche, i fedeli che prima di tornare alle proprie case, perché si incontrino e dialoghino tra loro.
Lungo i porticati saranno collocate le stazioni della via Crucis ,recuperando il carattere dinamico e processionale delle antiche basiliche divise in navate. La parte dei portici prossima alla chiesa solo parzialmente coperta dal tetto consentirà la piantagione di alberi e cespugli portando l’immagine della reazione nel corpo stesso della chiesa.
La facciata
Dal sagrato la chiesa si presenta attraverso la facciata, che come un volto vivente richiama verso di sé e invita ad entrare aprendosi in un grande portale che squarcia il corpo della chiesa per lasciar passare il popolo di Dio pellegrinante.
La facciata è plasmata in modo da continuare il moto abbracciante dei portici antistanti e include i due campanili che si sviluppano in verticale per dare all’edificio il significato di porta aperta verso il cielo. La scala a chiocciola all’interno dei due campanili allude alla scala di Giacobbe ricordata nel Genesi: “Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo” (Gen.28,12).
Modello ideale dei due campanili , realizzati in acciaio corten, sono quelli disegnati da Antoni Gaudí per la chiesa della Sacra Famiglia di Barcellona, consacrata da Benedetto XVI nel 2010. A chi gli diceva che quella di Barcellona sarebbe stata “l’ultima cattedrale” Gaudí rispose che sarebbe stata invece “la prima di una nuova serie” e gli edifici recentemente costruiti di Brindisi , di Tokio, di Evry, di Los Angeles, di Lamezia Terme gli hanno dato ragione.
La facciata non è una superficie statica , un muro ma una lastra che si protende verso chi entra per accoglierlo. La sua superficie è metallica, come metallica è la struttura interna che consente alla chiesa la sua leggerezza e la sua resistenza ai movimenti sismici. Purtroppo la esecuzione non soddisfacente richiederà una modifica per quanto riguarda le gronde.
Il metallo, un tempo presente nelle costruzioni religiose nei coronamenti e nelle parti decorative, o nascosto entro le murature nelle “catene” per aiutarle a contenere le spinte centrifughe, entra oggi di buon diritto nell’organismo come elemento strutturale e dimostra che nessuna materia può sottrarsi al compito di lodare il Signore della creazione.
La connotazione della nave è evidente all’esterno quando si osserva la facciata entrando nel sagrato antistante ed è leggibile all’interno dopo il passaggio del nartece per le due pareti laterali curvilinee.
Alla simbologia della nave dedica un intero capitolo Jean Danièlou nel suo libro “I simboli cristiani primitivi”, dal quale estraiamo alcune citazioni illuminanti: “Il corpo intero della Chiesa somiglia ad una grande nave, che trasporta in una violenta tempesta uomini di provenienza molto diversa. Segue poi una lunga allegoria, in cui Dio è il proprietario della nave, Cristo è il pilota, il vescovo è la vedetta, i presbiteri sono i marinai, i diaconi capi rematori, i catechisti aiutanti. L’allegoria, ispirata dalle similitudini marittime, continua con la comparazione fra il mare agitato e le tentazioni del mondo, i passeggeri e i diversi ordini della Chiesa”.
Nel testo liturgico delle Costituzioni apostoliche si legge: “Quando riunisci la Chiesa di Dio, sii vigile, come il pilota di una grande nave, affinché le riunioni si svolgano con ordine. Prescrivi ai diaconi, come a dei marinai, di indicare il loro posto ai fratelli come a dei passeggeri. Che la Chiesa sia rivolta verso l’Oriente, come si conviene a una nave… Che i portieri stiano all’ingresso degli uomini per custodirli e le diaconesse all’ingresso delle donne, come degli aiutanti”.
Nel “Trattato sull’Antecristo” di Ippolito di Roma si legge: “Il mare è il mondo. La Chiesa, come una nave, è scossa dai flutti, ma non sommersa. Ha infatti con sé un pilota esperto, il Cristo. Al suo centro ha il trofeo vincitore della morte, come se portasse con sé la croce del Cristo. La sua prua è verso l’Oriente, la sua poppa verso l’Occidente, la sua carena verso il mezzogiorno. Ha come timone i due Testamenti. Le sue funi sono tese come la carità del Cristo e stringono la Chiesa. Essa ha con sé delle riserve di acque vive, come il bagno della rigenerazione. Ha dei marinai a destra e a sinistra, come degli angeli custodi, che governano e proteggono la Chiesa. I cavi che collegano l’antenna alla cima dell’albero sono come gli ordini dei profeti, dei martiri e degli apostoli che si riposano nel regno del Cristo.”
La similitudine della nave si ritrova anche in Tertulliano nel “De Baptismo”: “Del resto, la barca prefigurava la Chiesa che, sul mare del mondo, è scossa dalle onde delle persecuzioni e delle tentazioni, mentre il Signore nella sua pazienza sembra dormire, fino al momento ultimo in cui, svegliato dalla preghiera dei santi, egli padroneggia il mondo e ridona la pace ai suoi”.
Nel simbolismo della nave, frequente anche nella cultura profana, la teologia patristica ha visto le condizioni concrete di vita della Chiesa: i pericoli della navigazione, la comunità di destino dei naviganti, l’equipaggiamento di personale e di strumentazione che permettono di raggiungere la meta.
È comune, tra i Padri, la compilazione dei cataloghi delle singole parti delle immagini nautiche.
Ippolito di Roma è il primo autore cristiano a scomporre la simbolica nei vari elementi che la compongono (De Antichristo, 59): il mare è il mondo, la nave è la chiesa, l’esperto pilota Cristo, l’albero maestro il trofeo della croce, i due timoni l’Antico e Nuovo Testamento, la prua e la poppa l’Oriente e l’Occidente della direzione dei viaggio celeste, la gomena l’amore di Cristo, il contenitore d’acqua dolce il battesimo, la bianca vela lo Spirito Santo, l’ancora di ferro la legge di Cristo, i rematori gli angeli custodi, la vela superiore dell’albero i profeti, gli apostoli e i martiri che riposano in Cristo.
La Lettera dello Pseudo Clemente all’apostolo Giacomo, datata al terzo secolo, espone lo stesso tema dottrinale con alcune varianti nell’attributo delle mansioni nautiche, derivanti dal maggiore sviluppo raggiunto nell’ordinamento della Chiesa locale: “Tutta l’essenza della Chiesa somiglia ad una grande nave, che in tutte le tempeste alberga in sé quegli uomini di diversa origine, che soltanto ad una cosa aspirano, abitare nella città del buon regno. Perciò, Dio sia per voi come il proprietario della nave. E il pilota sia l’immagine di Cristo, il pilota di prua rappresenti il vescovo, i marinai di ciurma i presbiteri, i sorveglianti dei rematori i diaconi, gli arruolatori i catechisti, i viaggiatori, poi, la massa dei fedeli” (PG 2, 49 AC).
L’autore dell’Opus imperfectum in Matthaeum (Homilia 23, PG 58, 755) descrive la vera nave di Dio, la Chiesa dei fedeli, che scivola sicura sul mare del mondo: “Per mare s’intende il mondo, la nave è la Chiesa, che ha per pilota il Figlio di Dio, i flutti sono i peccati e le tentazioni, i venti (contrari) gli spiriti cattivi, il timone è la fede, i rematori gli angeli. La nave trasporta i cori di tutti i santi, al centro è drizzato l’albero della croce, cui è sospesa la vela della fede evangelica (che) con il soffio dello Spirito Santo raggiunge il porto dei paradiso”.
Il portale è il primo dei sacri segni che si impone alla vista. Nella sua forma articolata si ispira ai portali delle chiese medievali evocando in forma astratta le figure dei santi che affiancavano i portali. Per una chiesa cristiana il portale assume un significato ben preciso se si pensa al passo del Vangelo di S. Giovanni in cui Gesù afferma: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10,9). Romano Guardini individua nel portale uno dei sacri segni che definiscono lo spazio ecclesiale: “Il portale sta tra l’esterno e l’interno: tra ciò che appartiene al mondo e ciò che è consacrato a Dio… Fai attenzione quando entri, involontariamente alzi il capo e gli occhi… L’ambiente vasto e alto della chiesa è similitudine della eternità infinita, del cielo in cui abita Dio.”
Il varco accogliente della facciata comprende al di sopra della porta una loggia pensata per le funzioni che si svolgeranno all’aperto e per la benedizione dei fedeli da parte del Vescovo.
Diverse immagini simboliche visibili sia dall’interno che dall’esterno offrono all’osservatore una chiave interpretativa dei significati più generali dell’edificio. Per accentuare la doppia leggibilità, dall’interno e dall’esterno le immagini simboliche sono realizzate su un supporto di vetro colorato cosicché sarà possibile godere il duplice effetto della luce filtrata che proietta il colore all’interno e della luce riflessa che introduce all’interno il colore come elemento che sottolinea l’importanza dell’immagine.
La vetrata della loggia contiene in alto un cerchio disegnato sullo sfondo di un magma cellulare che evoca la germinazione della materia vivente. Nel cerchio appare una immagine della “Annunciazione a Maria” che si collega intenzionalmente a una delle rappresentazioni più familiari al pubblico dei fedeli: quella disegnata dal Beato Angelico in una cella del convento di S. Marco a Firenze. L’Annunciazione è stata scelta dal Vescovo come segno dell’inizio dell’avventura cristiana posto all’ingresso come immagine simbolica dell’inizio della grande avventura cristiana.
Dall’esterno – sia per chi entra dalla porta principale che per chi entra dai portici che affiancano la facciata, l’ingresso nella navata è preceduta da uno spazio introduttivo che si rifa alla tradizione del nartece, che anticamente tratteneva i catecumeni sulla soglia. Con funzione diversa l’atrio di Lamezia separa lo spazio ecclesiale dall’esterno e esprime il valore della soglia, simbolo del passaggio.
Il cerchio con la croce al suo interno si ritrova anche nella vetrata che sovrasta la porta d’ingresso, racchiuso in un quadrato. Questa immagine che riunisce tre forme fondamentali della geometria esprime il valore cosmico dell’edificio sacro che non è solo casa della comunità orante, ma tempio universale. “La mia casa – scrive Isaia (56,7) – si chiamerà chiesa casa di preghiera per tutti i popoli.” L’azione liturgica infatti avviene aldilà dello spazio e del tempo, la Santa Messa si volge nel tempo sacro che può sempre ripetersi e implica la dimensione cosmica, senza la quale la liturgia perde il suo significato più profondo.
Nella configurazione dello spazio interno si è cercato di esprimere il significato profondo della nuova liturgia come evento assembleare che vede fedeli e sacerdoti uniti nella celebrazione e i fedeli coinvolti in una actuosa participatio, conservando però la ricchezza di significati che la tradizione ha assegnato all’aula liturgica.
Si è quindi posto l’altare al centro dell’assemblea che da una parte è composta dai fedeli dall’altra riunisce i sacerdoti in un piccolo anfiteatro convergente. La centralità dell’altare è rispecchiata da una nicchia absidale che ospita al centro la sede del vescovo e si rifà alla tradizione basilicale e ai diversi significati che questo elemento ha assunto nel tempo.
Tutti i sacri segni, l’altare, l’ambone, il tabernacolo, il cero pasquale, il fonte battesimale sono ben visibili fin dall’ingresso e dominano l’immagine della navata . Dall’ingresso all’altare un percorso centrale tra i banchi sottolinea il fatto che la chiesa ospita il “popolo di Dio pellegrinante” verso il Cristo Salvatore in attesa del suo ritorno (Parusìa) Lo spazio per il sacramento della riconciliazione è posto in prossimità dell’ingresso e organizzato in modo da contenere insieme ai confessionali una immagine sacra e un inginocchiatoio.
Nello scegliere la forma fondamentale della chiesa la principale intenzione è stata quella di rispondere alle esigenze della nuova liturgia con la centralità dell’altare, la disposizione concentrica dei banchi e la posizione dei sacri segni ben visibili in ogni punto della navata. La consapevolezza dell’importanza del valore simbolico delle forme ha suggerito poi di scegliere per il volume la analogia con la nave e per la pianta il profilo geometrico della mandorla e della vescica piscis. Entrambe queste forme, la nave e la mandorla, hanno svolto un grande ruolo nell’arte e nella architettura cristiana.
Per quanto riguarda la sagoma a mandorla, simbolo della Maiestas Domini, la si ritrova spesso come cornice della figura del Cristo per le sue valenze simboliche, in quanto composta da un seme racchiuso in due scorze che può rappresentare “l’essenziale nascosto in un involucro” e quindi la natura divina che si nasconde nella natura umana. Adamo di San Vittore considera la mandorla come “mistero della luce, duplicità tra l’oggetto della contemplazione e il segreto della illuminazione interiore”.
Il tema della luce è un tema prediletto della architettura religiosa per il valore che in questa realtà immateriale acquista quando il pensiero si rivolge alla divinità. Il Vangelo ci ricorda cosa avvenne nel contesto della festa ebraica delle luci quando Gesù affermò: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”.
Nella prima lettera di Giovanni si legge: “Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri e il sangue di Gesù suo figlio, ci purifica da ogni peccato”.
San Paolo poi esorta gli efesini a comportarsi come “figli della luce” poiché “il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.” Tutta la letteratura cristiana è ricca di meravigliose esaltazioni della luce. Nella “Gerarchia Celeste” di Scoto Eriugena colpisce il rapporto tra la luce divina e la pietra come materiale da ostruzione: “Ogni creatura, visibile o invisibile (…) è una luce portata all’essere dal padre delle luci. Questa pietra (…) è una luce per me perché io percepisco che esiste secondo le proprie regole, che cerca il suo luogo conforme alla sua specifica gravità.
Allorché in questa pietra percepisco tali e simili cose esse diventano luce per me, in altre parole, mi illuminano Perché io comincio a pensare donde la pietra sia investita da tali proprietà (…) e tosto, sotto la guida della ragione sono condotto, attraverso tutte le cose a quella causa di tutto che attribuisce alle cose luogo ed ordine, numero, bontà e bellezza (…) dalle mille piccole luci che splendono nel mondo sensibile si deduce il fulgore compatto della luce divina, dal mondo materiale si ascende a quello immateriale delle gerarchie celesti.”
“Cosa c’è di più bello della luce – esclama Ugo di San Vittore – che pur non avendo in sé colore, nondimeno, illuminandole colora le cose di tutti i loro colori (…) Ecco la terra ornata di fiori che spettacolo gioioso dimostra, come diletta la vista, come provoca amore?”
Nella chiesa di Lamezia la luce entra dalla facciata interna, dai quattro lucernai della volta e da una fonte nascosta che la cinge tutt’intorno come una corona.
La luce che entra dall’alto dalla facciata porta con sé l’immagine della Annunciazione ed ha, nello stesso tempo, il ruolo che hanno i rosoni nelle cattedrali gotiche: proiettare all’interno fasci di luce colorata.
La fonte di luce nascosta agli occhi degli osservatori entra da una fessura che corre lungo tutte le pareti laterali per riflessione. Il flusso dal basso verso l’alto suggerisce la analogia con la preghiera dell’uomo rivolta alla divinità. Questo tipo particolare di illuminazione ha anzitutto il compito architettonico di dare leggerezza alla copertura e di creare una netta distinzione tra la parte inferiore della chiesa, con le pareti del colore della terra, e quella superiore candida che evoca la Gerusalemme Celeste.
Anche nella nicchia absidale una fessura illumina dal basso le figure del Salvatore e dei santi scelti dal Vescovo tra quelli maggiormente venerati dai fedeli di Lamezia Terme.
Nella disposizione delle fonti luminose obiettivo della progettazione è stato costantemente quello di spingere i visitatori a interpretare il significato della luce a chiedersi il perché della sua bellezza, delle sue modulazioni e vibrazioni, della sua variabilità nel corso delle ore dall’alba al tramonto, della sua suggestione come annuncio dell’invisibile aldilà del visibile.
La rete appare più volte nei Vangeli come simbolo di conversione e di giudizio. “Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi” (Mt.13,47,48).
“Mentre camminava lungo il mare di Galilea, (Gesù) vide due fratelli, Simone chiamato Pietro e Andrea suo fratello che gettavano le reti in mare poiché erano pescatori. E disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”(Mt.4,18,19).
Nella ricerca di una immagine significativa dal punto di vista simbolico che caratterizzasse la copertura della navata la rete è sembrata adatta a illustrare il ruolo della chiesa come luogo in cui si esprime il mistero della salvezza.
La rete della volta di Lamezia nasce dall’intreccio di dodici nervature, quanti sono gli apostoli e quante sono le porte della Gerusalemme Celeste descritta nell’Apocalisse. Le quattro nervature che partono dal centro delle pareti laterali rappresentano in virtù del loro intreccio finale i quattro evangelisti, Matteo, Luca, Marco e Giovanni, mentre un significato simbolico può essere attribuito anche ai nodi di forma rombica che nascono dall’intreccio delle nervature.
Di questi nodi i cinque più piccoli enumerano i doni dello Spirito Santo, la conoscenza, il timore di Dio, l’intelletto, la sapienza, la pietas, la fortezza e il consiglio. I quattro più grandi si possono riferire alle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza mentre le tre fonti di luce sull’asse longitudinale della volta , che alludono al miracolo delle Pentecoste (At.2,1-2), si possono riferire alle tre persone della SS. Trinità. Sotto la terza fonte di luce posta in corrispondenza dell’altare, che simbolizza lo Spirito Santo appare, l’immagine scolpita della colomba.
La cappella dell’Adorazione
Dal lato opposto rispetto alla cappella del Fonte battesimale uno spazio simmetrico a base trapezoidale ospita la cappella della Adorazione. Per questo è stato collocato sulla soglia, rivolto all’altare centrale, il Tabernacolo Eucaristico che ha la forma di un Ostensorio, presso il quale si trova la lampada che segnala la presenza delle specie eucaristiche.
Lo spazio per il SS. Scramento è accessibile sia dalla chiesa che dall’interno della cappella con due diversi sportelli. La raggiera del tabernacolo è rispecchiata dalle membrature d’acciaio che sostengono la copertura. Sopra l’ingresso della cappella un braccio con una luce segnala la presenza nel tabernacolo delle Specie Eucaristiche.
Benedetto XVI, in una pagina indimenticabile ha messo in rilievo l’importanza del Tabernacolo e della luce che fa sì che nelle chiese cattoliche ha luogo sempre una forma di liturgia.
“Egli è presente – si legge nella “Teologia delle Liturgia” – e noi sappiamo sempre dove possiamo trovarlo, dove Egli si fa trovare e ci aspetta. È questo che oggi deve nuovamente penetrare nella nostra anima: Dio è vicino. Dio ci conosce. Dio ci attende in Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento. Non lasciamolo aspettare invano! Non sia che per distrazione o pigrizia passiamo accanto a quanto di più importante e di più grande è offerto alla nostra vita! Questa lettura di oggi dovrebbe ricordarci nuovamente il mistero meraviglioso che le mura delle nostre «case di Dio» custodiscono. Non passiamoci accanto sbadatamente! Prendiamoci il tempo, anche durante la settimana, quando passiamo davanti ad una chiesa, di entrarvi e di sostare un momento davanti al Signore che e cosi vicino Durante la giornata le nostre chiese non devono essere case morte che stanno lì, vuote ed apparentemente senza alcuno scopo. Sempre da esse proviene l’invito di Gesù Cristo. Sempre vive in esse questa santa vicinanza per noi. Sempre ci chiama e ci invita. È questa, infatti, la cosa bella delle chiese cattoliche, che in esse, in qualche modo, ha luogo sempre una forma di liturgia, perché sempre dimora in esse la presenza eucaristica dei Signore”.
Il fonte battesimale
Collegata all’altare da un sentiero disegnato sul pavimento con un segno azzurrino la cappella per il rito battesimale comprende una vasca ottagonale sopra una colonnina dalla quale l’acqua può scendere nella vasca, sempre di forma ottagona pensata per il rito dell’immersione. Tre gradini permettono di scendere fino al fondo di marmo nero.
“L’ottavo giorno – ha scritto Benedetto XVI – significa così il nuovo tempo che ha preso inizio con la Risurrezione. Questo giorno scorre per così dire già ora insieme con la storia. Nella liturgia noi giungiamo già ad afferrarlo. Ma al contempo esso sempre ci precede: un segno del mondo definitivo di Dio, in cui ombra e immagine sono superate e sono entrate nella comunione definitiva di Dio con la sua creatura. In base a questo simbolismo dell’ottavo giorno si amava costruire i battisteri – le chiese battesimali – come ottagono, in forma ottagonale”.
La cappella battesimale è parte integrante dello spazio ecclesiale. Ben visibile fin dall’ingresso e dai fedeli che attorniano l’altare, collegata all’altare da una guida di pietra e facilmente raggiungibile dall’ingresso il fonte si adatta ai momenti essenziali del rito: l’accoglienza, la liturgia della parola, il Sacramento e la conclusione presso l’altare.
Mentre l’accoglienza può essere celebrata nel nartece o all’ingresso della chiesa la cerimonia si svolgerà nella cappella capace di un numero cospicuo di persone e in grado di ospitare una processione , ma si potrà seguire, senza muoversi, anche dai fedeli che si trovano nei banchi intorno all’altare.
La cappella è pensata per suggerire ai fedeli i due aspetti contrastanti del battesimo che è insieme l’essere sepolti con Cristo e il risorgere insieme a lui attraverso il potere dello Spirito e dell’acqua benedetta. Mentre la pavimentazione evoca le tenebre, il grande lucernario che corona la raggiera di travi di acciaio lascia entrare dall’alto la luce, simbolo della “illuminazione” da parte del Verbo , “la luce vera che illumina ogni uomo”(Gv,1,9), mentre il battezzato è divenuto “figlio della luce” e “luce” egli stesso (Ef. 5, 8 ).
L’acqua del fonte, adatta per il battesimo dei bambini, può scendere nella vasca sottostante rendendo possibile il rito della immersione Sul muro concavo della cappella una tela dipinta da Luigi Frappi descrive un paesaggio della Terra Santa con il lago di Tiberiade.
La volta conica che raccorda le pareti al lucernario è sorretta da una serie di travature in acciaio che formano una raggiera luminosa.
La dedica al papa emerito Benedetto XVI
Il lavoro dei progettisti è dedicato a Benedetto XVI che, nella sua visita a Lamezia Terme del settembre 2011, ha benedetto la prima pietra della con-cattedrale e ne ha promosso la realizzazione. Una serie di coincidenze motivano, come ci accingiamo a spiegare, questa dedica.
Il 21 di novembre del 2009, chi scrive aveva partecipato all’incontro nella Cappella Sistina tra il papa e gli artisti. Due anni dopo, il 4 luglio del 2011, in occasione della celebrazione, organizzata dal cardinal Gianfranco Ravasi, del sessantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, un gruppo di artisti venne invitato a presentare al Santo Padre dei doni, esposti in una mostra nell’auditorio di Pier Luigi Nervi. Per chi scrive fu un evento indimenticabile durante il quale ebbe modo di illustrare al papa il suo dono: un modello tridimensionale in legno di noce di una chiesa dedicata a San Benedetto.
Due anni dopo chi scrive, pochi giorni prima della scadenza, venne a conoscenza che la diocesi di Lamezia Terme aveva indetto un concorso per la progettazione di una chiesa dedicata a S. Benedetto. Il 9 ottobre 2011 infatti, durante la sua visita alla città, Benedetto XVI aveva annunciato e benedetto l’iniziativa della Diocesi e del comune di affiancare alla piccola cattedrale di Nicastro una con-cattedrale. Per alcuni mesi, insieme a mia moglie Giovanna, ci dedicammo alla progettazione della con-cattedrale cercando, come avevamo già fatto per il progetto offertogli in dono, di seguire i suggerimenti di Benedetto XVI, relativi alla nuova liturgia, raccolte nel volume undicesimo della sua opera omnia.
Nel lavoro di progettazione netta era la sensazione di seguire una sorta di predestinazione che ci impose di affrontare il lavoro con entusiasmo e con il massimo dell’impegno.
Una delle critiche principali che Benedettpo XVI rivolge ai tentativi di interpretazione ella nuova liturgia è la la tendenza a considerare l’edificio ecclesiale unicamente “Casa degli Uomini”.
“Dove … gli uomini si lasciano impegnare per Dio, là essi trovano il tempo per Lui e là si crea anche lo spazio per Lui. Allora essi possono osare il passo verso l’avvenire: rappresentare nell’oggi il dimorare di Dio con noi e la nostra riunione per merito suo, che ci rende fratelli e sorelle in un’unica casa. Allora la disponibilità alla semplicità diventa naturale e ugualmente si riconosce il diritto alla bellezza, alle cose belle. Anzi, solo in una tale spiritualizzazione del mondo in vista del Cristo venturo emerge veramente il bello nella sua forza trasformatrice e consolante. E si rivela una cosa sorprendente: la casa di Dio è la vera casa degli uomini. Diventa addirittura tanto più vera casa degli uomini quanto meno vuole esserlo, cioè quanto più è stata eretta semplicemente per Lui”.
Sulla base di queste affermazioni costante è stato il nostro tentativo di conferire al nuovo spazio anche la dimensione della trascendenza.
Uno dei suggerimenti che ha orientato le scelte del progetto è quella dell’orientamento verso est e della ricerca di un significato cosmico del nuovo edificio. “L’orientamento della preghiera verso est – ha scritto il papa emerito – è una tradizione che risale alle origini ed è espressione fondamentale della sintesi cristiana tra cosmo e storia, tra ancoraggio all’unicità della Storia della salvezza e cammino incontro al Signore che viene. La fedeltà a ciò che è già stato donato così come la dinamica del progredire trovano in esso pari espressione (…).La liturgia presuppone – come abbiamo visto – il cielo squarciato; solo se questo si verifica, può esserci una liturgia. Se il cielo non è aperto, ciò che era liturgia s’immiserisce in un gioco di ruoli, in una ricerca, in ultima analisi insignificante, di auto-conferma comunitaria, in cui in fondo non accade nulla”.
Nella nuova chiesa, orientata verso est, anche il riferimento al “cielo squarciato” è presente nei tre lucernai e nel fondo azzurro dal quale si staccano le nervature incrociate della copertura.
La disposizione delle due cappelle del Fonte Battesimale e della Adorazione, così come la nicchia absidale in cui si radunano i presbiteri ha permesso di sovrapporre alla forma della nave e della vescica piscis un richiamo allo schema cruciforme che ci riporta alla concezione della chiesa come “Corpo mistico del Redentore”.
“Il discorso della Chiesa come corpo di Cristo è più di un qualche paragone, preso dall’antica sociologia, fra un corpo reale ed una corporazione composta da molte persone. L’affermazione ha il suo appiglio nel Sacramento del corpo e del sangue di Cristo ed è pertanto più di un’immagine – è espressione della vera essenza della Chiesa”.
Uno degli aspetti essenziali della nuova chiesa è la sua dimensione che si richiama all’altezza delle grandi cattedrali del passato ed ecco cosa ha scritto in proposito Benedetto XVI: “L’essenziale punto prospettico è pertanto la Maiestas Domini, il Signore risorto ed innalzato, che però al contempo è visto soprattutto come Colui che ritorna, che nell’Eucaristia sta venendo già ora. La Chiesa che celebra la liturgia gli va incontro, la liturgia è addirittura l’atto di questo andare incontro alla sua venuta. Nella liturgia Egli sempre già anticipa questa sua venuta promessa: liturgia è parusia anticipata, è l’entrare del «già» nel nostro «non ancora»…”
In un altro passo il papa aggiunge “(…) perché la fede ha a che fare con Dio, e solo dove la sua presenza si fa vicina, solo dove per il timor riverenziale nei suoi confronti le intenzioni umane passano in seconda linea si crea quella credibilità, quell’atmosfera degna della fede, che fa sbocciare la fede”.
Nella nuova chiesa il rapporto con la tradizione è un rapporto creativo, non di passivo ascolto ma di possibile continuazione della ricerca del passato. “La tradizione – diceva Gustav Mahler – è custodire il fuoco non adorare le ceneri”.
“Nella liturgia – ha scritto il papa – come pure negli altri campi della vita artistica, ed in misura maggiore che in essi – le grandi opere del passato conserveranno sempre il loro posto (chi vorrebbe, per esempio, ritenere Bach come superato ed inadeguato per il nostro tempo?); al tempo stesso, però, esse sono forze di ispirazione che non sono d’ostacolo a forme nuove,
ma anzi addirittura le suscitano. (…) Ma senza il coraggio dell’ascesi, senza il coraggio di andare contro corrente, non si può far nulla neppure oggi. Solo da un tale coraggio può scaturire una nuova creatività”.
La chiesa di Lamezia parte dalla constatazione che le forme dell’arte sacra esprimono sì lo spirito del tempo ma nello stesso tempo esprimono quella che Heidegger definiva “la inesauribile potenza metamorfica dell’iniziale”. Nel progetto confluiscono così esperienze lontane nello spazio e nel tempo, come i portali gotici, i campanili delle chiese benedettine, le nervature incrociate del mondo islamico, la luce guidata di Borromini, la plasticità rigorosa di Gaudí.
A Lamezia infine c’è il tentativo di comunicare alla comunità dei fedeli quella gioia di rendere visibile la fede di cui Benedetto XV ha scritto con commovente efficacia. “Il costruire dell’uomo, infatti, mira alla stabilità, mira alla sicurezza, alla patria, alla libertà. È un ribellarsi contro la morte, contro l’insicurezza, contro la paura, contro la solitudine. Per questo la voglia dell’uomo di costruire trova il suo pieno adempimento nella costruzione del tempio, in quella costruzione in cui egli invita Dio ad entrare (…).Ma ora si rende viva nella cristianità l’idea che proprio l’incarnazione di Dio è stata il suo entrare nella materia, l’avvio di un grande movimento in cui tutta la materia deve aprirsi ad accogliere il Verbo, mentre di conseguenza anche il Verbo deve a sua volta esprimersi nella materia, consegnarsi ad essa per poterla trasformare. Per questo nasce ora la gioia di rendere la fede visibile, di innalzare i suoi segni nel mondo della materia. Con ciò si collega l’altro motivo: l’idea della glorificazione; il tentativo di rendere la terra fin nelle sue pietre un inno di lode, anticipando così il mondo futuro (…). Anche oggi la gioia che si prova in Dio ed il contatto con la sua presenza nella liturgia costituiscono una forza inesauribile d’ispirazione. Gli artisti che si
sottopongono a questo compito, non devono affatto sentirsi come una sorta di retroguardia della cultura: la libertà vuota da cui escono diventa annoiata da se stessa. L’umile assoggettarci a ciò che ci precede genera di per sé l’autentica libertà e ci conduce alla vera elevatezza della nostra vocazione come persone umane”.
Benedetto parla dell’esprimersi del verbo nella materia, consegnandosi ad essa per poterla trasformare.
Nella nuova chiesa è l’acciaio che entra in scena solennemente come nuova materia capace come la pietra, il legno, il cemento di cantare le lodi del Creatore. Al centro della facciata quando si apre il portale l’osservatore è raggiunto da una serie di immagini simboliche geometriche e figurative che arricchiscono di significato l’ingresso. Sopra la balconata una grande vetrata che suggerisce l’idea della germinazione vitale contiene in alto all’interno di una cornice circolare una immagine della Annunciazione di Maria, a segnare l’inizio della grande avventura cristiana che sta nascendo dal suo grembo. Sotto la balconata si scopre invece un’altra vetrata simbolica con un cerchio che circoscrive un quadrato all’interno del quale è una croce. Se il cerchio nella sua perfezione evoca il divino, il quadrato evoca la terra e la croce la salvezza donata dal sacrificio di Gesù.
Appena entrati i fedeli si troveranno in un andito che si riallaccia al nartece delle prime basiliche cristiane.