Di Michela Beatrice Ferri
Recensione di: “La luce splendore del vero. Percorsi tra arte, architettura e teologia dall’età paleocristiana al Barocco” di Andrea Dall’Asta (Ancora Editrice, Milano, 2018)
“Dio è Luce”: con questa espressione si apre il nuovo libro di Andrea Dall’Asta, intitolato “La luce splendore del vero. Percorsi tra arte, architettura e teologia dall’età paleocristiana al Barocco” (Ancora Editrice, Milano, 2018). Questo saggio ci introduce non solo ad “una” storia dell’Arte, ad “uno” dei temi della storia dell’Arte, ma – nello specifico – all’analisi di un elemento che ha caratterizzato la storia della produzione artistica in relazione alla rappresentazione del divino: la Luce. Come l’Arte ha rappresentato la Luce, segno del divino? Scrive lo stesso Dall’Asta: «la radice indoeuropea *diu – da cui viene il latino “divus” e, successivamente, “dio” – significa “luce”. In origine “luminoso” indica, infatti, la manifestazione degli dèi del cielo che si rivelano sia con la luce del giorno, sia con quella del lampo (come più tardi i romani “Iuppiter Lucetius” e “Iuppiter Fulgurator”)». L’Arte ha un carattere “estetico”, in quanto oggetto della pura sensibilità – calata e relegata in quella dimensione spazio-temporale che è umana e che delimita la sensibilità umana. L’Arte ha bisogno della teologia nel suo essere strumento del Sacro, al lavoro per la dimensione religiosa: è proprio di questa necessità che ci parla lo studio di Dall’Asta.
Il saggio che qui presento è un invito a meditare sulla Luce come indicazione della presenza del divino nel bisogno umano di fare Arte. La Luce come rimando a un Invisibile che si è sempre tentato – con mano umana – di recuperare attraverso una rappresentazione che in quanto tale è visibile, e la cui visibilità altro non può fare che dipendere dall’elemento della Luce. La tematica della “Luce” – come rivelazione della bellezza, di Dio e di riflesso di Dio nel mondo – è vista in questo libro nel suo dispiegamento attraverso le epoche, dall’antichità, fino ad arrivare al Barocco che rappresenta la Luce nella sua Gloria.
Tutto in un’ottica interdisciplinare: filosofia, arte e architettura, e – aggiungo – antropologia. Il discorso teologico è la base della disamina, è la chiave di lettura del testo, perché questo libro di Dall’Asta è da considerarsi uno strumento per avvicinarsi alla teologia dell’Arte Sacra: la “Luce” è – cito l’Autore – “all’origine dell’esperienza del Sacro, del Divino che irrompe nella storia”. “Luce” è ciò che illumina, è ciò che rende visibili gli oggetti – ciò che rende visibile il nostro campo esperienziale: la Luce è la struttura fondamentale della nostra percezione, in Estetica, e appunto simbolo del Divino, nel contesto teologico. Ed è il contesto teologico che ha nutrito la storia dell’arte, i suoi sviluppi, i suoi problemi, e che ha conferito significato alla sua missione.
Il lavoro contenuto nel volume “La luce splendore del vero” presenta un’analisi attenta al percorso di una storia che non è solo “storia dell’arte” ma che è “storia umana”: la consapevolezza del significato scientifico del termine “luce”, la sua analisi etimologica, la tensione della Metafisica Occidentale, l’estetica cinematografica. Con una invitante premessa, Dall’Asta prepara il lettore alla disamina del tema della “luce” nelle Scritture Ebraiche. L’uomo contemporaneo ritrova se stesso, dapprima, per ripercorrere la storia di un incontro che riflette il desiderio di uscita dalle tenebre e di apertura verso la Luce del divino. Dall’Antico Testamento alla figura di Cristo come vera Luce, dalla Creazione (Genesi, 1,3) al “venire alla luce”, dalla Gerusalemme Celeste all’architettura di chiese. Svelando il senso dell’architettura bizantina come “teofania della luce”, l’estetica bizantina trova nel pensiero di matrice neo-platonica – e in particolare nella riflessione del filosofo Plotino – il suo fondamento teorico: siamo in quell’epoca definita “fototropica” dallo studioso Hans Sedlmayr, per via del profondo rapporto con la Luce realizzato tramite nuove materie luminose.
Dall’Asta sottolinea un fattore di fondamentale importanza per capire l’arte sacra oggi: all’origine dell’estetica dell’arte cristiana vi è la costante ricerca mirata a dare uno statuto alla funzione e al senso dell’immagine. Parlare di “immagine” significa parlare di Luce ricreata, ma significa anche andare al fondo di una storia complessa, che ha come punto di svolta la data del secondo concilio di Nicea del 787. L’immagine, però, non può avere una sua storia senza quel dialogo con quello Spazio che l’Iconografia Cristiana eleva a Dimensione Liturgica. La Luce è sempre stata ricercata nella forza del colore: l’analisi si snoda tra la chiarificazione del significato del colore “oro” e la narrazione della storia bizantina che i capolavori di Ravenna – così come di Venezia, di Monreale, di Palermo – conservano in quanto Luoghi di Luce. Una storia di Luce come messaggio teologico non scritto ma rappresentato. Occorre abbandonare l’utilizzo dell’etichetta che impone di pensare al Medioevo, alla sua arte, come drammaticamente lontani dalla “luce”: dalla debole presenza della Luce nelle chiese romaniche si passa a quella doppia caratterizzazione della Luce nel gotico: densa – poiché sostenuta dal colore – e divina. Il gotico riporta alla ricerca della Luce, e le cattedrali che il Medioevo ha innalzato sono inni di Luce, prodotti di una architettura che accompagna il messaggio della Parola. La teologia filosofica è ancora una volta il fondamento dell’analisi di Dall’Asta: i concetti di “luce della chiarezza”, di “visio Dei”, di “claritas”, preparano la costruzione di una idea di luce che il Medioevo concretizzerà nei cantieri di queste dimore per lo spirito. La riflessione di Tommaso d’Aquino, da un lato, e la simbologia racchiusa nel progetto delle grandiose cattedrali, dall’altro lato, rendono ragione dell’importanza del tema della Luce nell’età medievale: l’età dei Monasteri, l’età della Scolastica, l’età che prepara alla Modernità.
Nel contesto rinascimentale la Luce recupera il suo senso di equilibrio, conferendo solennità allo spazio sacro. Nella produzione pittorica che va da Correggio (1489 circa – 1534) a Tiziano (1488-1576), e poi a Caravaggio (1571-1610), la Luce è lo strumento di ricerca per una rappresentazione del divino: drammatica e gloriosa, perché tra questi due poli si muove la narrazione biblica. La dirompenza, la teatralità unita a suggestività degli spazi del Barocco, lo segnano come momento di trionfo della Luce, come prosecuzione di quella sperimentazione che definisce l’esaltazione della Luce. Nell’architettura, nella scultura, nella pittura, lo stile Barocco coinvolge i nostri cinque sensi nell’esperienza di incontro con Dio. Proviamo ad entrare nella Chiesa del Gesù: il rimando immediato è al titolo con cui Dall’Asta ne affronta l’analisi, “Il trionfo della Luce”.
Non dimentichiamo che il cannocchiale di Galileo Galilei sarà il punto di avvio di un graduale passaggio dalla lettura “teologica” della Luce, a quella “scientifica”, che la produzione pittorica di Caravaggio si rivela una profonda ricerca del “vero”, che la delicata luminosità dei quadri di Jan Vermeer (1632-1675) ne rivela il carattere fotografico.
La rappresentazione della Luce è il desiderio di rievocare una Bellezza che è anzitutto originata dal Divino, ma è anche una indagine sul silenzioso messaggio della Storia, della vicenda umana. Nel corso dei secoli, la luce verrà ricercata come elemento al di fuori dallo spazio sacro, al di fuori dal bisogno di figurare una immagine appartenente alla sera del religioso. Immersi in questa drammatica contemporaneità, vediamo che l’uomo ricerca ancora la Luce. Quale Luce? In modalità diverse, in luoghi che non sempre sono adibiti al Sacro. Cerchiamo la luce per cercare il divino, cerchiamo luminosità per nascondere quel buio che è più intimo che sociale. Ma al di là della scienza – della matematica, della fisica, della chimica – al di là dell’ingegneria, dell’architettura, dell’arte stessa, la ricerca della luce è un simbolo: il simbolo di una umanità che non sa, che non ammette, ma che ricerca un divino in ogni presenza sensibile che emani una sorta di luminosità.