Luigi Caccia Dominioni, scomparso il 13 novembre 2016 all’età di 103 anni, è stato uno tra i grandi architetti italiani del XX secolo e ha espresso il meglio di sé nella progettazione delle chiese. Nel 2015 il volume “Luigi Caccia Dominioni. Spazio sacro e architettura” di Alberto Gavazzi e Marco Ghilotti edito da Bononia University Press ha ripresentato tutte le sue opere ecclesiastiche, tutte caratterizzate dalla grafica semplice, immediata quanto elegante.
Nell’introduzione al volume, Mario Botta scrive: “Il denominatore che accomuna tutte queste realizzazioni è un linguaggio feriale lontano dalla retorica e dalle connotazioni auliche: Caccia Dominioni utilizza una comunicazione ‘domestica’ maturata nella sua molteplice attività residenziale; il linguaggio architettonico è la chiave di misura per l’uomo, che resta pur sempre protagonista; i materiali per la costruzione sono espressi nelle loro forme migliori, assumono configurazioni autentiche, come dovrebbe sempre essere per tutti gli elementi della composizione architettonica“.
Sono poche parole che inquadrano alla perfezione il modo di progettare del Maestro scomparso. La raffinatezza è individuata non nel gesto eclatante ma nell’efficacia che nel disegno riassume, come un fatto che diviene espressione di naturale semplicità, la misura, la coerenza strutturale, la funzionalità.
Nell’ultima sua intervista, rilasciata poche settimane prima della scomparsa a Giovanni Gazzaneo e a Leonardo Servadio, Caccia Dominioni ha spiegato così la sua particolare sensibilità per il progetto delle chiese: “Vivo a Milano, davanti a Sant’Ambrogio, una delle più belle basiliche della città. Ne ho osservato l’architettura sin da quand’ero bambino, sono cresciuto avendola davanti agli occhi. Per me la chiesa è un po’ come una porta sul mondo. O come un mondo che sta un po’ fuori da questo mondo nostro: c’è il quadriportico col sagrato poi la facciata, e poi la chiesa. Ed è un brano di paesaggio che diviene anche luogo di culto“.
Del resto lo stile romanico della basilica che volle erigere lo stesso Patrono milanese sul finire del IV secolo, pur con tutta la sua aulicità è non alieno dalla semplicità delle edificazioni domestiche, o delle cascine.
Se in molti casi si lamenta, dopo il Concilio, la scelta di progettare chiese eccessivamente nascoste nell’abitato, ovvero eccessivamente schiacciate nella banalità, l’opera di Caccia Dominoini dimostra che non è necessario attingere all’iperuranio delle grandi idee o a gesti eclatanti per emergere dal brusio di fondo: basta saper costruire bene. E allora anche le architetture dal volto domestico divengono chiese ben definite. Non imponenti, ma importanti e, soprattutto, vicine all’animo delle persone.
Il suo modo di affrontare il progetto si riassume in queste parole: “L’architettura non è una teoria, bensì una pratica. Quando progettavo non pensavo ad applicare teorie, ma a rispettare delle necessità. E a trovare soluzioni che fossero semplici e che sorgessero spontaneamente. Penso che questa sia la cosa più importante: che vi sia semplicità e spontaneità. Perché una sedia sia bella bisogna che sia anzitutto comoda, che ci si stia bene. Pensavo: che cosa potrebbe far stare bene me? Se fa star bene me, andrà bene anche per gli altri… E questo vale anche per la chiesa: se posso entrare e sentirmi invogliato a pregare, lo stesso accadrà ad altri“.
Presentiamo qui di seguito alcuni dei progetti di Luigi Caccia Dominioni.
Le foto sono tratte da “Luigi Caccia Dominioni. Spazio sacro e architettura” a cura di Alberto Gavazzi e Marco Ghilotti (Bononia University Press, 2015, 244 pagine illustrate, 45,00 euro)