La poetica delle proporzioni e dei segni biblici
Il “silenzio delle forme”, la discrezione unita alla ricerca storica e al rispetto per i rapporti geometrici insiti nell’architettura e nella originale disposizione liturgica, dopo lughi ripensamenti portano a un intervento che rispecchia sia l’intento del Vaticano II, sia l’eredità storico artistica del manufatto esistente.
L’adeguamento liturgico è stato compiuto dall’Arch. Giorgio Gualdrini.
La cattedrale di Faenza è uno dei più insigni monumenti della Romagna (fig. 1). Nel 1474, sulla scia dell’ormai consolidata amicizia fra la signoria manfrediana e la casa medicea, il vescovo Federico Manfredi incaricò del progetto Giuliano da Maiano, definito da Luca Pacioli “grandissimo domestico” di Lorenzo de’ Medici. L’originaria tipologia, determinata da una rigorosa ratio matematica, era a pianta composita: una croce greca innestata in un corpo allungato a tre navate voltate a vela lateralmente coronate da un giro continuo di cappelle. L’indubbio valore del progetto maianesco, debitore della lezione di Brunelleschi e Michelozzo, risiedeva nella composizione di una “croce greca” tutta impostata sul gioco ritmico di moduli quadrati imperniati sul centro di simmetria. Quattro grandi quadrati, solo successivamente rettificati nelle testate di transetto, si innestavano nel centro-croce disegnando una geometrica griglia capace poi di propagarsi, secondo multipli e sottomultipli, lungo il corpo longitudinale dell’edificio cadenzato sulle alternanze di pilastri, colonne e volte a vela. L’ordito spaziale era definito da stringenti regole geometriche: i rapporti 1:1 per i moduli planimetrici e i rapporti 2:1, 3:2, 5:2 per gli alzati di navate e cappelle (fig. 2). Tale ratio matematica risulta ancora oggi ben leggibile nonostante alcune alterazioni subite dalla cattedrale anche nell’area presbiterale: l’aggiunta cinquecentesca di un coro a sette lati con calotta a conchiglia, l’occlusione e il prolungamento delle cappelle adiacenti al presbiterio, i monumentali altari barocchi che, dopo diversi adeguamenti liturgici fra Sei e Settecento, culminarono nella messa in opera del manufatto marmoreo progettato nel 1767 dal giovane Giuseppe Pistocchi. A questo intervento fece seguito il posizionamento della cattedra episcopale sotto la cantoria di sinistra. (figg. 3-4)
Il post-Concilio e il Concorso Nazionale del 1989
Questo assetto dell’area presbiterale durò fino alla “Riforma liturgica” promossa dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Essa divenne operativa in seguito alla promulgazione del nuovo “Missale Romanum” che, nel 1969, fissò le seguenti costanti tese a sottolineare l’antica coralità comunitaria della liturgia cristiana:
– la centralità dell’altare “versus populum”
– l’orientamento dell’ambone per le letture in lingua volgare verso l’assemblea dei fedeli
– la piena visibilità della sede del celebrante
Per il presbiterio della Cattedrale di Faenza il rispetto di queste prescrizioni apparve subito particolarmente complesso soprattutto a causa della presenza dell’altare pistocchiano. Nell’archivio capitolare sono custoditi appunti, verbali e documenti redatti negli anni ’60 e ‘70 del Novecento intorno al suo destino dopo la riforma conciliare. La domanda che si posero in molti fu: mantenerlo in sito anche se liturgicamente incongruo, oppure rimuoverlo per poi collocarlo nel futuro Museo Diocesano? Mentre alcune diocesi italiane procedevano secondo questo orientamento, saggia fu a Faenza la decisione di mantenerlo “com’era e dov’era”. Pur estranea alla sintassi architettonica e alla matematica ratio della cattedrale maianesca, l’opera di Giuseppe Pistocchi resta un’opera di elevato valore artistico da conservarsi con ogni cura. Interpretando l’altare pistocchiano come “fondale” dell’azione liturgica il Capitolo della Cattedrale decise di collocare la cattedra episcopale all’ultimo stadio della gradinata del manufatto barocco. Non due altari quindi – secondo quanto qualcuno affermò – ma un unico altare: quello nuovo, provvisoriamente composto – come l’ambone – con una struttura lignea alla quale fu addossato un baroccheggiante paliotto realizzato nel 1931 (fig. 5).
Cosciente della precarietà della sistemazione, nel 1989, la Diocesi di Faenza promosse un “Concorso Nazionale per il riassetto del presbiterio” che l’architetto Giorgio Gualdrini (coadiuvato dall’arch. Ebe Montanari e dal prof. Goffredo Gaeta) si aggiudicò proponendo la realizzazione di una piastra appoggiata sulla pavimentazione dell’aula a configurare un presbitero esteso fin sotto la cupola (fig. 6). Pur risultando reversibile, discreta e soprattutto “trasparente” (la piastra d’addizione era composta da grandi moduli in vetro e marmo), la proposta di intervento non fu accolta favorevolmente da buona parte del clero faentino che sottolineò alcuni nodi che, nel progetto vincitore, restavano irrisolti. Portando l’altare e l’ambone nel centro della crociera si sarebbe sì favorita l’integrazione dell’assemblea con la celebrazione eucaristica ma questo nuovo assetto non avrebbe tenuto nella giusta considerazione la tradizione devozionale dei fedeli faentini che sarebbero stati costretti a volgere le spalle alla Cappella della Madonna delle Grazie. Il progetto vincitore, pubblicato su molte riviste specializzate, non ebbe quindi esito esecutivo.
Il nuovo assetto del presbiterio (2014)
Sul finire del 2012, ventiquattro anni dopo quel Concorso Nazionale, il vescovo mons. Claudio Stagni ha voluto assegnare l’incarico di un nuovo progetto all’arch. Gualdrini. Il riassetto del presbiterio avrebbe però dovuto mantenersi, senza travalicarne i confini, all’interno del suo perimetro storico.
Ispirato alla rilettura della rigorosa geometria compositiva voluta da Giuliano da Maiano il nuovo altare verso il popolo ha una pianta perfettamente quadrata e un alzato le cui proporzioni derivano dalla “Costante di Fidia”, meglio nota come “sezione aurea”.
Il progettista non ha voluto aggiungere alla purezza delle forme geometriche troppe gestualità creative, troppe suggestioni formali in quanto esse avrebbero rischiato di entrare in competizione con quelle già scritte sui muri, sulle volte, sul pavimento e sul settecentesco altare di Giuseppe Pistocchi. Questo senso di misura e di discrezione lo ha portato semplicemente ad incidere nel fronte dell’altare la forma stilizzata di una croce le cui braccia inclinate vogliono evocare la deposizione di Gesù. Esse disegnano una curva che, abbozzando un cerchio avvolgente il fronte del presbiterio, traccia una linea obliqua sia nel cero pasquale che nel blocco dell’ambone (il luogo della Parola) suddiviso in due parti sovrapposte: la base che abbraccia l’ultimo gradino fra aula e presbiterio sostiene il piano sul quale le Sacre Scritture sono appoggiate per essere lette ad alta voce. La Bibbia è un grande racconto che inizia in un giardino (l’Eden, il giardino della creazione) e termina in una città (la Gerusalemme celeste). I cristiani credono che fra il principio e la fine (fra l’A e l’Ω) abbia fatto irruzione l’evento dell’incarnazione, della morte e della resurrezione di Gesù: una sorta di “taglio del tempo” che definisce un “prima” e un “dopo”. Questo taglio è espresso da una fenditura che solca verticalmente la base dell’ambone sulla quale stanno incise, a sinistra e a destra, le lettere greche che simboleggiano le opposte estremità della storia , l’alfa e l’omega: il principio e la fine.
Per quanto riguarda il disegno della nuova cattedra episcopale da collocarsi (come già avviene da quasi cinquanta anni) all’ultimo stadio dell’altare settecentesco Gualdrini ha scartato l’idea di riprodurre, in altezza, l’ingombro del vecchio manufatto che svettava di 30 cm. oltre la quota massima del monumento pistocchiano estendendo il semplicissimo schienale solo fino alla linea inferiore della cornice sommitale sulla quale è stato posizionato un notevole crocifisso di scuola romana risalente al XV secolo.
Per la scelta dei materiali da impiegare nella realizzazione dei nuovi poli liturgici l’architetto Gualdrini ha voluto ricercare fondamenti biblici. Nel secondo capitolo della Libro della Genesi è descritto il giardino di Eden “ dove c’è l’oro e l’oro di quella terra è fine; qui c’è anche la resina odorosa e la pietra d’onice” (Gen. 2, 8-12). È la pietra “dell’inizio”, la pietra che gli antichi chiamavano “ pietra del paradiso”. L’altare, l’ambone e la cattedra sono quindi stati realizzati in onice bianca con leggere striature grigie e dorate: una pietra proveniente dall’Iran che anche l’architetto Antonella Ranaldi (Soprintendente per Ravenna, Ferrara e Venezia) ha ritenuto perfettamente compatibile con il contesto della cattedrale faentina.
Ma – si è chiesto l’architetto Gualdrini – è corretto lasciare le incisioni nella pietra vuote e cromaticamente afone, quindi prive di luce e di colore? C’è un breve pensiero, scritto da Giosuè Boesch sui giorni della passione nel quale il monaco svizzero parla del vuoto lasciato dalla morte di quell’uomo appeso al legno: “Il vuoto di una croce, scavata nella materia. Il vuoto lascia però un’eredità: l’oro nelle ferite”. Forse quest’oro rimanda a quello “simile a terso cristallo” della Gerusalemme celeste, le cui mura “sono costruite con diaspro”. Gli incavi scavati nella pietra onice sono quindi stati trattati con applicazioni di foglie d’oro. L’architetto Gualdrini conclude così la sua relazione: “Le foglie d’oro sono presenti in alcune straordinarie opere collocate nella cattedrale di Faenza. Le mani dello scultore le fissò sulla pietra ma non so dire se la sua fu una scelta puramente “ornamentale”. Abbinando le foglie d’oro a una piccola goccia di diaspro rosso a evocare la ferita del costato (Ap. 21,18), a me è piaciuto riprendere quel tipo di “ornamento”, sapendo che dai greci questo vocabolo – oggi divenuto così leggero e privo di profondità – era espresso con il termine Kòsmos: non semplice cosmesi ma bellezza, ordine, trasparente pulitezza. Un ordine che, in questo progetto di adeguamento liturgico, ho voluto fosse accompagnato da pochi ma eloquenti segni della fede cristiana”.
Il parere della “Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini” (11 settembre 2013)
“La proposta progettuale, pervenuta in data 12.07.2013, relativa alla sistemazione dell’area presbiterale, per esigenze liturgiche, della basilica cattedrale prevede: opere reversibili; materiali e finiture (onice bianco-grigia con inserti a foglia d’oro) che preservano e incentivano, rispetto alla sistemazione attuale, un’ armonica percezione dell’insieme; forme che, come ben relazionato, traggono origine da approfondite riflessioni, verifiche e confronti con alcune linee metodologiche dell’architettura rinascimentale e, pertanto, perseguono elementi architettonici che possono identificarsi in una matrice compositiva armonica fra passato e presente.
Inoltre le tecniche di intervento sull’altare, del XVIII secolo, risultano coerenti con quelle del restauro.
Il responsabile del procedimento
(arch. Valter Piazza)
Il Soprintendente
(Arch. Antonella Ranaldi)