Un luogo recondito entro l’episcopio di Pescia, diviene luogo di sepoltura per i Vescovi. La trasformazione del sito è stata curata dall’Arch. Antonella Galli: ne riportiamo la relazione.
Al piano terra del Palazzo Vescovile, esattamente nella proiezione ortogonale della Cappella Vescovile posta al piano primo, si trova un piccolo vano, con copertura a volta, originariamente accessibile dall’Episcopio e utilizzato a cantina: grandi orci in cotto sul perimetro del vano, contenevano olio, appoggiati su supporti in pietra serena, come vassoi in grado di raccogliere eventuali fuoriuscite di materiale. Pavimento in mezzane di cotto e pareti intonacate, disadorne e non rifinite ad intonaco fine, costituiscono le caratteristiche tipologiche del vano.

Un piccolo disimpegno, sul lato ovest, si affaccia sul cortile interno del Palazzo, tramite una finestra, ricavata sul muro di parapetto della scala che conduce all’Episcopio.
La posizione privilegiata e la possibilità di un accesso a piano terra, indipendente dal restante complesso architettonico, tramite la trasformazione della finestra in porta, ha indotto la Diocesi di Pescia, nella persona di Mons. Roberto Filippini, all’idea di trasformare questo piccolo vano, caratterizzato da un atmosfera raccolta, appartata e al contempo in stretta relazione con gli ambienti di preghiera, in luogo di futura sepoltura per i Vescovi, interrompendo la secolare tradizione della inumazione in Cattedrale. La sepoltura in Cattedrale risultava ormai di difficile realizzazione, interferendo sia con l’apparato storico-artistico del corpo di fabbrica che con problematiche strutturali.

IL PERCORSO DELLA CRIPTA
Data la conformazione del luogo, di piccole dimensioni e sovrastato da una volta a botte la cui curvatura arriva quasi a terra, varcando la soglia dell’ingresso sembra di trovarsi in una piccola cripta, isolata dall’esterno in una atmosfera appartata e discreta.
Soprannominata quindi “la Cripta dei Vescovi” questo luogo sembrava rimasto inalterato nel tempo. Al momento del sopralluogo conteneva ancora gli antichi orci in cotto seicenteschi, utilizzati per contenere olio, un elemento prezioso da conservare con cura. Lo scorrere del tempo ha lasciato i sui segni con un degrado diffuso dello spazio, ma diffondendo anche la percezione di un luogo denso di storia, in cui leggere il racconto delle vite degli uomini e delle donne che vi hanno operato. Un luogo di memoria quindi, che non perde la sua connotazione nella nuova funzione a cui viene destinato, mantenendo la specificità di un luogo di ricordo dell’operato dei vescovi lì presenti.

Le scelte progettuali sono state volte sia, come richiesto, alle realizzazione del maggior numero possibile di loculi per l’inumazione, in una logica di ottimizzazione dell’intervento, ma anche e soprattutto nel rispetto dello spazio esistente, per una fruizione principalmente spirituale del luogo, in atto di preghiera e raccoglimento. E’ stato quindi individuato un percorso che inizia dall’esterno, nel cortile del Palazzo Vescovile, da un nuovo portale di ingresso, staccato dal piano frontale del palazzo; una forma di ‘passaggio’ figurato dalla vita terrena verso lo Spirito, arricchito dal tema della ‘soglia’, il varco successivo, che nelle ristrettezze delle dimensioni rallenta il passo, con la funzione di un ultimo momento di meditazione e preparazione prima dell’accesso alla nuova vita.

Nel momento dell’ingresso la prima immagine che appare è quella della croce, frontale, la presenza che rassicura e ridona le certezze della fede, il tutto ammorbidito e accompagnato dalla luce, che attribuisce eloquenza allo spazio. Entrando quindi nel vano principale, dopo il disimpegno, si trovano le tombe dei Vescovi, distanziate tra loro da un piano inclinato, a indicare la direzione verso l’Altissimo, approdo finale del percorso. Sul lato opposto, campeggia invece un ossario, illuminato anch’esso da un chiarore lieve, a segnare la presenza della luce perenne della Fede.

Nella realizzazione di questo percorso ideale sono stati scelti pochi e semplici interventi, come semplici sono i materiali, in una progettazione monomaterica, per una maggiore emergenza degli elementi simbolici. Anche la luce, usata come materia da plasmare, si combina in un sistema dinamico di forme che nascono e mutano, nel trascorrere delle ore, combinandosi tra raggi di sole filtrati in piccole fessure e chiarori artificiali. La stretta feritoia sul fronte del cortile, ampliata verso l’interno, permette l’ingresso di un fascio di luce naturale, inizialmente discreto, appena percettibile, che si diffonde poi sulle tre tombe, in un delicato abbraccio. Lo studio della luce artificiale vuole mantenere la stessa sensazione dell’abbraccio e di accoglienza serena e protettiva. Il tutto in una atmosfera di serenità, quasi gioiosa, come preannunciato dall’epigrafe proposta da Mons. Roberto Filippini, Vescovo di Pescia, scolpita sul portale di ingresso, ad invito di chi entra: “In gaudium domini”.
Arch. Antonella Galli
