Una città celeste: l’Apocalisse ne traccia l’immagine ben definita e articolata. Molto concreta pur nella sua astrazione. Perché la Gerusalemme Celeste è anzitutto il simbolo di un luogo che sta al di sopra di tutti i luoghi. Immagine della città dove la giustizia è compiuta nell’amore che deriva dall’effusione dello Spirito. Nella tradizione ebraica è presente per esempio nel sogno di Giacobbe: vi conduce la scala dove salgono e scendono gli angeli. Nella visione giovannea la perfezione geometrica della città è pervasa di luce che è segno della presenza divina. Le dodici porte, i dodici basamenti su cui poggia, i colori di cui brillano le pietre preziose di cui splende, l’albero della vita… molteplici sono le figure simboliche che abitano la Gerusalemme dell’Apocalisse e spesso variabili le interpretazioni.

Ma Jerusalem resta il luogo dell’incontro del divino con l’umano. E il fatto che le tre religioni del Libro riconoscano nella Gerusalemme il luogo della trascendenza ne fa il sito più ambito. Nella visione medievale che Dante esprime nella sua Commedia essa stessa raffigura il Paradiso (“… li è conceduto che d’Egitto / vegna in Ierusalemme per vedere, / anzi che ‘l militar li sia prescritto” spiega Beatrice che a Dante è concesso di sfuggire alla prigionia terrena per giungere in Paradiso prima ancora che la sua vita mortale sia finita —  Par XXV, 55-57).

Questo suo essere a cavallo dei mondi spirituale e materiale, luogo di incontro tra le genti e le fedi, città umana ma, proprio in quanto tale, pervasa di divinità, la rende momento fondante del pensare la fede attraverso le forme concrete che questa imprime al luogo ove ci si riunisce nella preghiera.
Di qui la scelta del nome Jerusalem per questo nuovo spazio che nel vasto mare del Web si dedica all’architettura dei luoghi per il culto. Intesi nel loro essere architettonico, ma anche visti attraverso il pensiero che alle loro forme e articolazioni conduce.
Vi sono tanti siti dedicati all’architettura, e alcuni sono specializzati in questo settore particolare. Perché dunque aggiungerne un altro?
La risposta è semplice. Perché la fede è stata da molti intesa come patrimonio esclusivo, e c’è chi ancora la vede in questo modo; oppure come strumento per imporre una certa visione del mondo, fondata su rapporti di esclusività, o su scelte preconcette.
Jerusalem è il nome che prende il luogo della pace: Jeru vuol dire città in ebraico, Shalem, o Shalom, vuol dire pace. E nella pace vige il rispetto reciproco, senza il quale v’è il tentativo di soverchiare che, se esercitato su un terreno in vario modo collegato al culto, assume il volto del censore.

Jerusalem desidera porsi come spazio di libertà: spazio aperto al dialogo.

Gli argomenti di architettura e di liturgia, di arte e di tecnologia, di urbanistica e di impiantistica vi sono trattati al di fuori delle visioni ideologiche, con lo scopo principale di alimentare il dibattito su un tema che sta al cuore dell’architettura e dello spazio urbano.

Perché non v’è città senza un luogo di culto, come non v’è comunità che possa sussistere se le persone non sono capaci di chinare il capo e riconoscersi figli di un unico Padre, così sapendosi fratelli.

Il cuore degli spazi urbani è proprio la chiesa, o altrimenti il tempio, la sinagoga, la moschea. Da sempre è così. Nel mondo attuale chiamato a rigenerarsi dopo le tante cadute che ha conosciute, la città che è il volto più evidente della società, saprà rifondarsi nella misura in cui saprà riconoscere le proprie radici e da quelle ripartire.
Per offrire nuove opportunità ai nuovi arrivati, perché nuovi rami e nuove foglie si diffondano a ricevere la luce del sole.

Jersalem è lo spazio in cui le architetture per il culto, antiche, contemporanee e future potranno dialogare, e potranno dialogare gli artefici e coloro che le abitano.
Nel rispetto e nella libertà: due termini che, inestricabilmente interconnessi, sono sempre fonte di cultura e porta aperta verso il futuro.

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