L’estetica riscopre l’architettura religiosa: un ritorno, in chiave contemporanea, di quello che accade da secoli, ma con una nuova consapevolezza. Oggi non c’è evento architettonico di ampio respiro che non preveda una sezione dedicata agli edifici di culto. La conferma arriva dal festival mondiale dell’architettura, che si è svolto a Singapore ed è già in cantiere l’edizione di Berlino, mentre cresce l’importanza di premi internazionali ad hoc, come quelli assegnati dal magazine «Faith & Form». Manifestazioni sempre più seguite, non soltanto dagli addetti del settore, perché sono anche un momento di confronto religioso, in cui le diverse fedi sono tutte sullo stesso piano e non esistono scontri di religione.
In questo vasto ambito, ci sono edifici diventati delle vere e proprie icone architettoniche contemporanee, tra cui anche alcune chiese. Una di queste è la cappella nel complesso Cardedeu, sul Lago Coatepeque, in El Salvador. Ribattezzata “chiesa-cornice”, presenta un’architettura essenziale e imponente allo stesso tempo: un trapezio di cemento armato aperto, che — con angolazioni diverse — incornicia letteralmente il paesaggio circostante. La vista esterna è quella sullo specchio d’acqua e delle montagne che lo circondano, mentre quella interna è un arredo ridotto ai minimi termini, con altare, leggio e panche, tra cui spicca una croce di ferro. A rendere unica la chiesa è il fatto che non esistono il dentro e il fuori, perché non c’è un’entrata e un’uscita, tutto si fonde e ruota attorno al crocifisso. Per la sua originalità rispettosa della natura circostante la cappella di Cardedeu è stata tra i finalisti della categoria edifici religiosi del Festival mondiale dell’architettura, che al primo posto ha visto arrivare la Facoltà di studi islamici del Qatar, a Doha.
Dal Centro America al Sud-est asiatico, una delle più impressionanti chiese cattoliche contemporanee
— anche questa finalista a Singapore— si trova nel più popoloso Paese musulmano del mondo, l’Indonesia.
Stella maris sorge a Pluit, a nord di Jakarta. L’edificio è del 1976, ma dopo la ristrutturazione del 2012 è diventata uno dei simboli architettonici della capitale per il suo stile, volutamente moderno e sobrio pensato anche per i fedeli più giovani: gli interni in teak richiamano alla cultura tradizionale, dalle balconate del piano superiore al grandioso soffitto ovale, sempre in legno è la parete dell’altare su cui si staglia, al centro, il crocifisso.
Anche in Africa l’arte contemporanea si è confrontata con gli edifici di culto, compresi quelli cristiani. Nel 2013 a Libreville, in Gabon, è stata costruita la Revival Sunset Chapel, diventata immediatamente un modello per l’intero continente, anche per l’unicità di dove sorge e per come è stata costruita. La chiesa si trova sul terreno privato di un ex ministro e ospita la tomba della moglie, ma è aperta al pubblico. È circondata da una foresta, nel cuore della capitale e di sera è visibile grazie a una speciale illuminazione al led. Le forme sono geometriche, semplici, per dare risalto ai materiali: legno, vetro, alluminio, acciaio, e il marmo, bianco e nero, degli interni. Ciò che colpisce è l’essenzialità, nessuna immagine, niente opulenza, la quasi totale assenza di elementi decorativi è compensata dalla luce, che dà anche il nome alla cappella, in particolare al tramonto, quando — in corrispondenza dell’abside — esalta la sagoma della croce. Non potendo, per legge, spostare la tomba, l’edificio vi sorge sopra, inglobandola. Lo studio FATmaison, che ha curato il progetto, ha deciso di costruire la chiesa prima in Italia, per apportare eventuali modifiche, poi l’ha smontata, fatta trasportare via nave nel Paese africano e ricostruita in loco, risparmiando così soldi e tempo.
Edifici religiosi sorgono ovunque, dalle scuole agli alberghi, dagli aeroporti agli ospedali. In molti di questi posti si trovano piccoli capolavori, come la vetrata Inno di Cristo della Scuola preparatoria cistercense di Irving (Texas), nei caldi colori del marrone e dell’arancio, premiata da «Faith & Form» nella categoria arte visiva.
articolo a cura di Simona Verrazzo – da “L’Osservatore Romano” del 29.01.2016