Particolarmente importante e problematico l’insieme di argomenti che hanno informato il Convegno Liturgico Internazionale di Bose, giunto nel 2018 alla XVI edizione. “Architettura di prossimità” e “centralità della cattedrale”, questi i due temi che lo hanno innervato: due polarità scandagliando le quali emergono i quesiti che percorrono la Chiesa e la società, nel tumultuoso incedere del tempo corrente. In cui problemi etici ed etnici, religiosi e urbanistici si intersecano e sommano entro realtà urbane sconfinate nel gigantismo, ove lo sfarinarsi del concetto di autorità fa svanire gli orientamenti.
Significativo è che, seppure il titolo del convegno richiamasse anzitutto all’argomento della prossimità, l’attenzione si sia appuntata in prevalenza sul tema della cattedrale: questa infatti resta l’aspetto più evidente della presenza della Chiesa nella città, pur rappresentando un’idea di autorità che è radicalmente mutata dai tempi in cui la cattedrale storica nacque quale fulcro ed epitome della società.
Le due polarità si manifestano nella concezione dello spazio per il culto e, nella prospettiva architettonica, sono esprimibili astrattamente attraverso l’alternativa: progettazione “dal basso” (democratica, coinvolgente, dibattuta) o dall’alto (frutto di creatività singola e singolare cui l’opera è delegata). Questa bipolarità si è stagliata con evidenza a conclusione del Convegno, nell’incontro che ha visto protagonista Mario Botta, probabilmente il maggiore tra i progettisti che si sono misurati col tema della chiesa in questi ultimi anni. L’alternativa è vocata a risolversi nella partecipazione, volta a rispettare entrambe le polarità attraverso il dialogo.
Ma a monito di quanto questo sia arduo resta, per esempio, quel ch’è avvenuto attorno all’adeguamento liturgico della cattedrale di Reggio Emilia (argomento sfiorato nel corso del Convegno) studiato con pazienza tra autorità ecclesiastiche, fedeli e artisti nel corso di anni e tuttavia rimasto in stato di limbo a seguito della rimozione proprio della cattedra, che era stata concordata partecipativamente quale espressione di un’autorità vescovile intesa come prossima all’assemblea dei fedeli.
In attesa della pubblicazione degli Atti, che avverrà come sempre nell’occasione del prossimo Convegno liturgico già annunciato per i primi giorni di giungo del 2019, diamo di seguito un breve resoconto di quanto messo sul tappeto.Informazioni su tutti i Convegni si trovano al sito www.monasterodibose.it/ospitalita/convegni/, dal quale sono tratte le immagini qui riprodotte.
XVI Convegno Liturgico Internazionale di Bose , 31 maggio – 2 giugno 2018
ARCHITETTURA DI PROSSIMITÀ
Idee di cattedrale, esperienze di comunità
31 maggio
L’apertura
«La successione apostolica è molto più di una trasmissione di poteri: è un’inserzione nell’apostolicità della chiesa, nella sinfonia della comunione con le altre chiese» l’affermazione di Enzo Bianchi in apertura del XVI Convegno Liturgico Internazionale svoltosi a Bose dal 31 maggio al 2 giugno 2018 sul tema “Architettura di prossimità. Idee di cattedrale, esperienze di comunità”, riassume il senso di tutto l’incontro, esprimendo assieme la vocazione universale della Chiesa e il suo radicamento locale, la sua testimonianza sovratemporale e il suo vivere nell’hic et nunc. Il suo esprimere autorità, proprio nella cattedra vescovile («unica nel territorio, nella città, nella regione»), e il suo essere comunità di eguali, figli di un unico Padre, nella figura domestica della domus ecclesiae, la “casa chiesa” dei primi tempi, che si affianca a quella della domus episcopi, nella società odierna a volte isolata dalla vita urbana, chiusa nella sua singolarità di monumento non privo di vocazione turistica. Di qui l’appello a ripensare la cattedrale (e quindi al tessuto di relazioni che essa attiva), non come semplice adattamento di spazi e oggetti, ma come aggiornamento della sua missione nella società di oggi. Per esempio recuperando la prossimità attraverso visite periodiche alla cattedrale per rafforzare la comunione delle parrocchie tra loro e col vescovo, per ritrovare nella cattedrale il segno «dell’unicità della chiesa locale e della comunione con le altre chiese dell’orbe».

Se Enzo Bianchi ha inquadrato il tema della cattedrale, per sua natura elemento centrale nel tessuto sociale, l’intervento di Valerio Pennasso, Direttore dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Eclesiastici e l’Edilizia di Culto della Conferenza Episcopale Italiana, ha posto l’accento sull’altro polo che ha articolato il Convegno: come la «prossimità sia elemento costitutivo della comunità cristiana» e in tale ambito ha tratteggiato l’iniziativa Cli/Lab (laboratorio interdisciplinare tra liturgia e architettura) che dal 2016 ha visto coinvolti 24 giovani (architetti, artisti, liturgisti, storici, filosofi e altri) in quattro gruppi, per gettare le basi per elaborare insieme con quattro comunità parrocchiali dei Documenti preliminari di progetto (DPP) che rispondano alle necessità reali delle parrocchie. Queste vanno anzitutto individuate e collocate nella prospettiva opportuna, per cui si richiede anzitutto una formazione della comunità alle tematiche coinvolte (dall’architettura, all’arte, alla liturgia, ecc.) e parallelamente un ascolto delle persone e del territorio nelle sue dimensioni storiche e geografiche, perché «la prossimità è parte costitutiva della comunità cristiana, che ritrova nei luoghi la propria identità». «L’architettura cristiana – ha detto don Pennasso — è chiamata a iscriversi entro una sociologia urbana» consapevole delle difficoltà dovute a presenze centralizzanti (musei e piazze) e al diffondersi dei non-luoghi. Don Pennasso si è anche riferito alle nuove disposizioni approvate dalla CEI a fine maggio in materia di beni culturali ed edilizia di culto, in cui l’accento è posto sul servizio che i beni e il patrimonio esistenti e futuri son chiamati a svolgere per le comunità. In tale ambito si colloca l’iniziativa avviata già da tempo per conoscere anzitutto le condizioni delle cattedrali e per attivare ove necessario gli interventi di adeguamento liturgico, da compiersi con approccio partecipativo: modalità che il Cli/Lab sta cercando di esperire*. (v. sotto)
La sessione di apertura si è conclusa con i saluti di Giuseppe Cappochin, Presidente del Consiglio Nazionale Architetti PPC che ha annunciato il prossimo convegno nazionale del CNAPPC al parco della Musica in Roma (5-7 luglio 2018), evidenziando come l’attenzione sarà volta alla qualità dello spazio della città nel mondo contemporaneo e come al riguardo rilevante sia quanto elaborato nel manifesto per la cura della casa comune che trae ispirazione dall’enciclica “Laudato si'”, per fare appello anzitutto alla coscienza degli architetti e al loro senso di responsabilità, in ciò evidenziando un’assonanza tra mondo professionale e Chiesa italiana.
Mons. Claudio Maniago, Vescovo di Castellaneta e presidente della Commissione episcopale per la liturgia della CEI ha portato i saluti di papa Francesco trasmessi dal card. Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano e ha evidenziato come sia rilevante comunicare oggi ai fedeli una consapevolezza del ruolo della cattedrale quale centro attivo della vita cristiana della diocesi. Mentre l’arch. Athenagoras, rappresentante del patriarcato Ecumenico di Costantinopoli ha trasmesso il saluto del Patriarca Bartolomeo, anch’esso fodnato sulla centralità della cattedrale per la vita sociale. Un messaggio augurale è pervenuto dal card. Nunzio Galantino, Segretario generale della CEI, che ha richiamato come il senso della parrocchia si trovi nell’origine del termine, indicante la “cura” verso le persone, nell’ambito della sua missione di casa comune tra le case degli uomini.
I sessione

Il tema Pietre vive. Spazio liturgico per una Chiesa sinodale è stato affrontato da Joris Geldhof, della Katholieke Universiteit di Leuven (Belgio): con riferimento al noto passaggio della prima lettera di Pietro «Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale…» (1 Pt 2, 4-5) egli ha indicato

come il Vaticano II fondi su tale concetto l’appello alla “partecipazione attiva” dei fedeli all’azione liturgica, che implica la visione dei fedeli come popolo santificato che pure si riconosce nella gerarchia ecclesiale quale testimonianza vivente che organizza la chiesa come espressione sinodale fondata su questi elementi cardine: sensibilità, ospitalità, solidarietà. Sensibilità perché la chiesa è dove la fragilità umana non è negata ma accolta nella libertà. Ospitalità perché lo spazio liturgico di pietre vive sarà aperto all’ignoto e all’imprevisto: all’altro. Solidarietà fondata sulla vittoria di Cristo che con la Resurrezione garantisce la comunione tra dimensioni orizzontale e verticale che si concreta nell’immagine dell’Ultima Cena, intesa come l’espressione più ampia e profonda della solidarietà.
Sibile De Blaauw, storico dell’arte della Radboud Universiteit di Nijmegen (Olanda) ha esposto il tema Casa, basilica, cattedrale. Modelli di comunità nella storia dell’architettura riferendosi in particolare al modello delle basiliche costantiniane quali espressioni privilegiate dell’architettura delle cattedrali. Ma l’origine del luogo di culto è la casa chiesa, della quale l’esempio tipo è quello di Dura Europos.

Qui il battistero si trovava nella stanza a nord-ovest, mentre nell’ala sud si apriva l’aula usata per le celebrazioni liturgiche e altre stanze, anche al piano superiore dovevano essere usate per l’assistenza caritativa, la catechesi e altre funzioni attinenti alla vita religiosa. Ne viene che la chiesa è intesa proprio come centro della vita comunitaria, non solo come luogo di culto.

La forma basilica viene adottata dopo l’editto di Milano (anno 313) una volta stabilita la libertà di culto: imperiale nella struttura (del resto quella che si ritiene la prima basilica cristiana fu costruita grazie ai finanziamenti di Costantino) e mutuata da quello che era stato l’edificio pubblico romano, adatto alle assemblee (quindi non derivante da altre forme preesistenti di edifici cultuali quali i mitrei). Il primo esempio è la basilica del Laterano, capace di ospitare 5500 persone, con cinque navate e battistero esterno. Per quanto si possa considerare un insieme ingigantito di quel che era stato la casa-chiesa, le dimensioni dello spazio consentivano manifestazioni di ben altra portata e l’influsso imperiale si rifletteva in elementi decorativi e di arredo: la cattedra che assumeva l’aspetto di trono, il fastigio con la figura di Cristo, gli apostoli e gli angeli che richiamavano una visione strettamente gerarchica della società. A questa figura di basilica si aggiunge poi quella di San Pietro, volta a evidenziare il culto dei martiri, a partire proprio da san Pietro: sopra la sua tomba viene eretto l’altare della basilica le cui navate erano percorse da file di fedeli in processione per visitare i resti dell’apostolo. Solo nel VI secolo la celebrazione liturgica diviene primaria nel contesto di tale basilica sul Vaticano.
Al modello architettonico basilicale si unisce – esempio primario Santa Sofia in Costantinopoli – quello del grande tempio a pianta centrale in cui all’asse orizzontale orientato si aggiunge l’asse verticale che nella cupola raffigura la proiezione verso l’alto che nel barocco e nel Gotico troverà il suo massimo splendore.
Sono queste le forme germinali della chiesa – e della cattedrale. Mentre come esempio di chiesa monastica si presenta quella dell’abazia di Sankt Gallen (Svizzera): il cui progetto originario preparato dall’abate Gozbert (IX secolo) prevede una basilica biabsidata e a navata unica con molteplici altari laterali divisa in due parti: la prima dedicata ai fedeli , la seconda ai monaci.

La crescente diversificazione dello spazio sarà travasata anche nelle cattedrali e altre chiese, a evidenziare le differenze gerarchiche che si inseriscono nella definizione dell’architettura, a sua volta riflesso dell’organizzazione della società.
E di struttura e organizzazione della società si è occupato Mario Abis, con la relazione Città e cambiamenti. Chiese e prospettive di sociologia urbana. La città ha cambiato pelle e identità, nel periodo attuale in cui, con l’esplosione demografica e la diffusione delle strutture urbane nel territorio sempre più si parla di città-mondo, nelle quali quelli che erano definiti “non-luoghi” assumono importanza sempre maggiore per il modo in cui si consumano le relazioni tra le persone a causa della cresciuta mobilità e interconnessione attraverso i vari sistemi di “rete” attraverso i quali passano valori materiali e immateriali (transazioni commerciali come informazioni o disinformazioni). Siamo a quella che Guy Deborde aveva profetizzato come la “civiltà dello spettacolo”, in cui i non luoghi divengono iperluoghi, nei quali si perde l’identità delle persone.

Per la Chiesa, abituata a svolgere funzioni di supplenza là dove la cultura e le strutture dominanti mancano di rispondere ai bisogni umani, questa situazione rappresenta una sfida: cui la cattedrale può rispondere dando orientamenti a una società che li ha persi e le parrocchie (con i loro spazi oratoriali) possono sopperire offrendo occasioni di relazione anche tra i nuovi cittadini provenienti da altre culture e religioni. Mentre più in generale per la società e per la pianificazione di nuove trasformazioni urbane è necessario pensare prima allo spazio pubblico (piazze, luoghi adatti all’incontro) che alle funzioni private: ma concependolo insieme con la cittadinanza, alla quale esso a non può risultare estraneo.
1 giugno 2018
II Sessione
Se la prima sessione ha posto le basi per esplorare le potenzialità del patrimonio culturale e architettonico della Chiesa nella città attuale, la seconda sessione è stata volta a esplorare tali potenziali risposte.

Anzitutto mostrando come queste si sono articolate nel corso della storia: è quanto ha fatto mons. Erio Castellucci parlando (“La vita della cattedrale. Adeguamento liturgico e vissuto comunitario“) della storia della propria sede vescovile a Modena-Nonantola. La cattedrale, già inserita nell’elenco Unesco del patrimonio dell’umanità, è attualmente bisognosa di interventi di restauro strutturale (a seguito del sisma del 2012) oltre che di adeguamento liturgico. Onde evitare che il sommarsi di troppe funzioni costituissero un peso eccessivo per la gestione della basilica è stata soppressa la funzione di parrocchia, e distribuita in parrocchie vicine: ne resta esaltato il ruolo di centro della diocesi e necessariamente anche quella di bene culturale vincolato dalla Soprintendenza. Nel ripercorrere la lunga storia dell’edificio, Castellucci ha spiegato in sintesi il significato del luogo: «La cattedrale è concepita non come uno spazio “neutro” che può ospitare anche le celebrazioni, ma come segno del corpo di Cristo stesso, dilatazione del significato della liturgia che è il mistero del Cristo morto e risorto nello Spirito, cemento della comunione ecclesiale e forza della missione nel mondo. A questi tre spazi architettonici e teologici corrispondono tre “tempi”, che possiamo definire rispettivamente il tempo della storia, significato dalla cripta che ospita le reliquie del patrono; il tempo della liturgia, significato dall’aula e il tempo della città, significato dalla piazza». La vita della cattedrale si svolge in tutti questi tre luoghi e significativo è che nei bassorilievi che adornano architravi e archi delle porte si rappresentino, oltre a scene e personaggi biblici, anche richiami mitologici, scene cavalleresche del ciclo bretone, favole di Esopo, le opere che i vari mestieri compiono nel corso dell’anno, e in una delle metope allineate lungo i fianchi dell’edificio si raffigura una persona in posizione yoga, probabile testimonianza del racconto di un viaggiatore: la cattedrale accoglie l’essere umano nella sua totalità, e in tutte le sue manifestazioni culturali. E le illumina alla luce della fede.

Goffredo Boselli, liturgista e monaco di Bose, si è interrogato su quale sia oggi Il segno della cattedrale: oggettivamente emarginata rispetto al ruolo centrale che occupava nella vita cittadina in passato, pur restando nel centro fisico dello spazio urbano a testimonianza del ruolo che ricopriva al tempo del suo sorgere. «Come conciliare la loro centralità spaziale con la progressiva marginalizzazione del messaggio cristiano nelle società occidentali, così come nei comportamenti degli uomini e delle donne di oggi?». Eppure, anche nella società desacralizzata, in anni recenti la più recente delle cattedrali europee, quella di Evry vicino a Parigi, è stata voluta grande e ben visibile, tanto dallo Stato quanto dalla Chiesa di Francia. Spesso nella dispersione attuale, la fede viene vista come àncora identitaria e luogo di appartenenza: pur nell’ambiguità, tale condizione si pone come potenzialità di apertura a un nuovo impegno di evangelizzazione: anche attraverso la bellezza artistica e l’eleganza architettonica. Ma tenendo al primo posto l’annuncio evangelico, senza scadere nell’estetismo.

Nella direzione del dialogo con la società contemporanea è stato impostato il progetto volto a ridisegnare la cattedrale della capitale tedesca. Ne ha parlato Anna Minta, dell’Università di Linz: Una nuova cattedrale? Progetto per l’adeguamento della cattedrale di Berlino. Sorta nella seconda metà del ‘700 per volere di Federico II di Prussia come una riproposizione del modello del Pantheon, la cattedrale è stata completamente rivista negli anni ’30 del XX secolo e poi ancora dopo le distruzioni avvenute con la seconda guerra mondiale.

All’inizio degli anni Sessanta si è completata una ristrutturazione che ha collegato i suoi due livelli (aula e cripta) con un’ampia apertura praticata al centro della pavimentazione in corrispondenza all’oculo che si apre sulla sommità della cupola. Entro l’apertura scende una scala avvolgente sino al piano della cripta al cui centro sorge un altare il cui dossale è una stele che emerge al livello superiore, dove è posto un altro altare. In questo modo si è voluta accentuare l’assialità verticale insieme con la convergenza verso il centro, ma il duplice livello e il duplice altare si sono tradotti in una inconsueta complicazione, cui un recente concorso intende mettere fine. Il concorso è stato vinto da Sichau & Walter GmbH Architects con l’artista Leo Zogmayer e si fonda su una visione di chiesa capace di armonizzare le dimensioni orizzontali e verticali.

Il progetto prevede di ritornare alla continuità della pavimentazione in tal modo separando ancora i due livelli. Per lasciare nella cripta lo spazio del battistero, posto al centro per evidenziare l’assialità verticale: in corrispondenza con il luogo ove si prevede di porre l’altare al livello superiore e, ancora più sopra, in corrispondenza con l’oculo della cupola. Nella cripta-battistero una corona di sedute attornierà a cerchio il fonte. Nell’aula liturgica i banchi oggi presenti saranno totalmente rimossi e si porranno sedie individuali, così da evidenziare (lo propone Zogmeyer) la posizione di ciascun singolo fedele pur nel contesto dell’assemblea. Le sedie saranno disposte in settori di cerchio attorno all’altare. Un’apertura diametralmente opposta all’ingresso condurrà all’elemento a cupola esterno ove attualmente si trova la sacrestia: dovrebbe diventare la cappella eucaristica.

In questo modo le due assialità saranno esaltate aggiungendo un forte e complesso dinamismo alla struttura centrale. Il progetto intende esprimere accoglienza verso la società. Si tratta di un’ulteriore, nuova, ampia trasformazione, e resta aperta la domanda, «se non porterà a guardare con rimpianto» a quel che era l’originale edificio storico.
Le trasformazioni auspicate a Berlino cercano di accentuare la prossimità. Vi sono diversi modi in cui questa viene ricercata. Uno di questi è stato illustrato da Gilles Drouin, dell’Institut Supérieur de Liturgie di Parigi: Chiese di prossimità. L’esperienza delle “Maisons d’Église”. L’iniziativa prende le mosse dalle antiche domus ecclesiae per proporre edifici (il recente Forum sull’argomento svolto dalla Conferenza Episcopale Francese ne ha recensite 10) che siano anzitutto accoglienti come case e dotate di servizi di carattere culturale, ricreativo, ristorativo. Si rivolgono agli specifici contesti in cui si trovano e sono stati promossi dal card. Lustiger come un nuovo concetto di progetto parrocchiale – distinto ma non alternativo a quello proposto per esempio con la Cattedrale di Evry, dove prevale la monumentalità pur se interpretata secondo modalità consone con la sensibilità contemporanea. Nelle Maison d’église non c’è nascondimento, ma chiarezza del segno espresso nella croce, così come anche ricerca di prossimità.

Per esempio nel nuovo quartiere degli affari parigino, la Défense, denso di uffici, la chiesa di Notre Dame de Pentecôte (progetto di Franck Hammoutène) si rivolge proprio a coloro che vi lavorano o che vi arrivano da fuori: possono recarvisi nei momenti di pausa. Una grande hall media il rapporto con la città e offre spazio per esposizioni e altri eventi, mentre l’aula ecclesiale è di ridotte dimensioni (circa 250 posti, come in tutte queste realtà simili). La modestia delle dimensioni pur nel gigantismo degli edifici vicini non riduce la visibilità del complesso, anche grazie alla croce ben evidente sulla parete che scherma l’entrata. Un altro modello di chiesa-casa è proposto da Frédéric Ozanam nel nuovo quartiere di Betignolles, a nord della capitale francese, vicino al nuovo palazzo di giustizia. Un quartiere che si voleva esemplare per mixité, e tale è anche la casa-chiesa: l’aula è il cuore dell’edificio ma anche qui una grande hall la precede ed è attorniata da diversi altri spazi di servizio, sale teatro e altro, mentre ai piani superiori vi sono dedicati a abitazioni e un hotel. L’edificio si ricollega alla chiesa parrocchiale “tradizionale” di Sainte Marie des Brignolles. L’opera di Ozanam, come altre maison d’église, costituisce il tentativo di rivolgersi alle zone urbane “specializzate” (qui gli uffici, lì i centri commerciali…) lasciateci dall’urbanismo della seconda metà del XX secolo che agiva secondo una visione disgregata di società. Una visione oggi superata ma che continuerà a influenzare le città per parecchio tempo ancora.

Con la maison d’église, dunque, la Chiesa si rivolge alle persone offrendo servizi che hanno rilevanza anche sul piano culturale. L’argomento è stato ripreso da Richard Vosko, consulente statunitense per la progettazione dello spazio liturgico (di Clifton Park, New York) col suo intervento su Le cattedrali negli Stati Uniti. Trasformazione e innovazione. «Molti frequentano sale da concerto, musei e gallerie d’arte alla ricerca di esperienza di valore spirituale, mentre la frequenza della chiesa è in declino» ha notato. E molti abbandonano le religioni tradizionali e si rivolgono a singoli predicatori: si sentono da questi accolti, vi incontrano senso di appartenenza. Ecco che la cattedrale, in quanto chiesa che ispira l’organizzazione delle altre chiese diocesane, dovrebbe accentuare il senso di accoglienza che offre: sin dal primo incontro, sin dalla figurazione del portone, e avvantaggiandosi del fatto che molte cattedrali storiche hanno a disposizione una piazza antistante o comunque atri di accesso: sono spazi in cui possono essere collocate opere d’arte, memoriali, o colombari, elementi che rendono il senso della prossimità. Per esempio quale liturgista per la cattedrale di Los Angeles progettata da Rafael Moneo, ha detto Vosko «ho chiesto a molte persone quali immagini e simboli fossero per loro significativi quale memoria delle loro radici culturali». Essendo Los Angeles una città dove giungono tanti immigrati soprattutto dall’America Latina, è importante che la cattedrale sia sentita da loro come un luogo vicino, familiare. E sulla base di questa inchiesta l’artista Robert Graham ha scolpito le grandi porte di bronzo, assiepando diversi richiami tra quelli indicati dai fedeli, insieme con le figurazioni delle apparizioni della Vergine in diversi paesi.
Altro aspetto significativo sarebbe di ricavare spazi previ a quello per il culto, ove la comunità possa ritrovarsi per eventi sociali, tra i quali, il mangiare assieme.
E infine, la disposizione liturgica vera e propria: in diversi casi, quale consulente Vosko ha proposto l’avanzare dell’altare addossato così che questo sia fisicamente al centro dello spazio e dell’assemblea del fedeli.
2 giugno 2018
III Sessione

Spazi e gratuità. Architettura e misura umana: su tale tematica s’è diffusa Patrizia Di Monte, architetto che opera presso l’università di Zaragoza (Spagna). La presenza di spazi urbani anche in aree centrali, non usati e pertanto spesso degradati, ha suggerito alla città di lanciare un progetto che consentisse a una cinquantina di disoccupati, di attivarsi per migliorare le condizioni urbane. In vista dell’Expo 2008, nacque il progetto “Estonoesunsolar”: questo non è uno spazio abbandonato. Sulla base di accordi temporanei i proprietari consentono al Comune di attivare iniziative con la popolazione (qualora si fossero rifiutati sarebbero stati costretti a pagare multe per non aver tenuto pulito, come da regolamento, il lotto di loro pertinenza). Si sono presi contatti con le organizzazioni di cittadini e si sono svolte inchieste per comprendere quali potenzialità e quali idee vi fossero, anche da parte di cittadini non facenti parte di organizzazioni già costituite, di scuole, organismi di quartiere. Con l’aiuto dei disoccupati coinvolti dal Comune si sono propagandatele iniziative proposte (stabilire giardini, giochi per bambini, attività per anziani, orti urbani, piazze, ecc.). In pratica gli spazi abbandonati sono stati “riciclati” e si sono generati spazi attorno ai quali molti si sono volontariamente attivati per compiere opere di pubblica utilità che hanno rivitalizzato la vita dei quartieri e trasformato zone periferiche dimesse in luoghi attraenti e pieni di vita.
Al primo posto dunque v’è l’azione di ascolto: si tratta di comprendere non dal punto di vista del progettista, ma dell’abitante del quartiere, quali siano le necessità reali delle persone. Questo porta a un attivo coinvolgimento delle persone nel progettare e nel costruire. Ne sono nati campi sportivi, giardini, orti: luoghi che nel loro complesso con investimenti minimi e grazie all’azione dei cittadini cambiano il volto della città.

Di altra natura sono gli interventi descritti da Mario Botta, noto progettista ticinese che ha nel suo curriculum una ventina di edifici per il culto, soprattutto chiese. Tra le quali spicca la cattedrale di Evry, città satellite di 80 mila abitanti sorta al sud di Parigi nel corso di quattro decenni, su un’area un tempo rurale. «Il vescovo mi chiese una cattedrale che potesse orientare la città, indicare alle persone dove potessero andare uscendo di casa». Si era negli anni Ottanta e si desiderava una cattedrale capace di proporsi con la forza dell’edificio monumentale. Il luogo designato era la piazza antistante al municipio, tal che si compiva il tradizionale accostamento tra luogo del potere civile e il cuore della Chiesa locale. Il disegno, improntato alle forme di geometria pura, è sorto, ha spiegato Botta, dal desiderio di stabilire una continuità con le architetture storiche, in Francia caratterizzate dalle grandi vetrate del gotico. Da qui nasce la forma circolare tagliata diagonalmente in alto e recante sul prospetto principale grandi finestre a arco ribassato, a lunetta, la cui forma diviene ispiratrice per la definizione di un’abside interna. Lo spazio absidale infatti è rilevante per individuare il luogo dell’altare e indicare con la sua ansa ampia il senso dell’accoglienza, dando anche una direzionalità all’assemblea. Nel grande tamburo della chiesa, sono stati ricavati spazi di servizio al di sopra della zona presbiterale che hanno consentito di disegnare una spanciatura nella parte alta dell’aula: questa, insieme con la grande finestra traslucida ad arco, compongono lo spazio absidale che caratterizza l’interno. Sia le pareti interne, sia quelle esterne sono ricoperte in mattoni la cui disposizione accompagna la forma geometrica dell’edificio e la scandisce esaltando luoghi specifici, quali la cattedra. In questo modo lo spazio della cattedrale risulta articolato e unitario assieme. All’esterno, un porticato lineare si inserisce nel volume cilindrico: ospita l’ingresso dalla piazza. Mentre sulla copertura una corona di alberi riecheggia le guglie delle architetture storiche. Le loro svelte chiome ondeggiano al vento mentre indicano il cielo.
In questo caso, come nel caso della nota chiesa di Mogno, anch’essa degli anni Ottanta, il progetto architettonico ha dato luogo a polemiche e forti opposizioni. La chiesa di Mogno, costruita in luogo di una cappella distrutta da una valanga, è stata progettata come un tamburo in pietra a base ellittica con una copertura trasparente risultante da un piano inclinato che taglia il volume in modo tale che l’asse corto dell’ellisse arrivasse ad avere la stessa lunghezza dell’asse lungo: disegnando così un cerchio. A distanza di diversi anni entrambe le chiese, a Evry e a Mogno, sono divenute oggetto di visita quali monumenti significativi del luogo, proprio come lo sono le grandi chiese storiche.
Ne risulta che non v’è sostituto per la creatività e la maestria del singolo artefice nel compiere l’opera, che difficilmente sarà il risultato di una votazione “democratica”. Mentre invece la definizione delle necessità e delle finalità dell’opera va acquisita con la partecipazione delle persone, così che l’opera risponda alle necessità reali e non si presenti come frutto di una volontà estranea. Lo ha evidenziato Enzo Bianchi nel salutare i convegnisti a conclusione dei lavori, rievocando come il senso della cattedrale sia quello di esprimere l’unità del popolo di Dio, pur in tutte le sue differenze.

Un argomento che è stato ripreso anche da Albert Gerhards, del Seminario liturgico dell’Università di Bonn (Germania), nel riassumere lo svolgimento dell’incontro. Riecheggiando le diverse proposte presentate egli le ha ricondotte a unità, evidenziando come la cattedrale sia anzitutto espressione di un desiderio di unità polifonica, simbolo e sintesi della Chiesa nel suo essere universale e locale. L’unità della Chiesa si manifesta in senso anche diacronico: ne è esempio il cantiere per la cattedrale di Colonia. Dopo essere stato fermo 4 secoli, riprese nel 1870. Oggi essa è segno di identità ma è riconosciuta anche dalla popolazione musulmana della città: come luogo di incontro sociale. Perché nella cattedrale il popolo si riconosce nelle proprie differenze. Le cattedrali sono luogo di primaria rilevanza liturgica, in cui l’ars celebrandi trova il suo alimento, ma sono anche momento di primario significato urbanistico. Il loro spazio è multipolare e capace di offrire diverse funzioni. E la loro progettazione, conservazione e adeguamento richiede la partecipazione delle persone, secondo modalità capaci di ispirarsi al magistero della Chiesa e scegliendo il meglio di quanto l’arte possa offrire, tramite concorsi. L’architettura di prossimità va intesa anzitutto come comunità di pietre vive, delle quali l’edificio diviene espressione, purché vi sia condivisione nel vangelo. Data la sua rilevanza, la cattedrale può ospitare funzioni diverse, per esempio quella di Bonn offre anche spazi per un colombario ed è comunque luogo di rilevanza monumentale e turistica pur con questo nulla perdendo della sua importanza fondante per la Chiesa locale. Così, pur nei grandi e profondi cambiamenti culturali cui stiamo assistendo, la cattedrale resta luogo di riferimento, ancoraggio per i fedeli e punto di riferimento per i non credenti: anche essi vi ritrovano un riflesso di identità culturale.
La lezione della nobile semplicità, auspicata dal Concilio resta valida anche per le cattedrali. Tutte le chiese, piccole o grandi che siano, sono sempre segni di fede nella città. Luoghi dove il silenzio invita a rivolgersi all’alterità. Come indicava Rudolf Schwarz nella sua ultima proposta progettuale contenuta nel suo scritto Costruire la chiesa: il “Duomo di tutti i tempi” è accogliente come una grande cupola ma è orientato e rivolto al lungo cammino dell’umanità, che si svolge fino alla fine dei tempi.

*IL CLI-Lab
Gravina (Bari), Rizziconi (Reggio C.), Simeri Crichi (Catanzaro), Terracina (Palermo). Sono i quattro luoghi dove i 24 partecipanti al CLI Lab (laboratorio del Convegno Liturgico Internazionale di Bose), architetti, artisti, liturgisti, sono intervenuti allo scopo di preparare la redazione di un Documento preliminare di progetto. Preparare: l’opera avviene sul piano del tutto preliminare.
In tutte e quattro le realtà parrocchiali vi sono problemi di spazio: qui una chiesa troppo piccola, lì un edificio troppo degradato, altrove c’è la necessità di lasciare la palestra sino a oggi usata come aula liturgica… A urgenze di questa natura negli anni passati la Chiesa italiana ha cercato di rispondere attivando i “Progetti Pilota” volti a condurre concorsi secondo metodologie concordate tra Conferenza Episcopale Italiana, Curia diocesana e parrocchia. Ma s’è visto che malgrado il lungo iter preparatorio e il coinvolgimento delle comunità nella giuria dei concorsi, a volte i progetti vincitori risultavano non soddisfacenti per i parrocchiani.
Col CLI Lab, nasce una nuova proposta: la scelta di giovani (under 35) professionisti di varia provenienza, perché costituiscano gruppi volti a esplorare i desideri delle comunità parrocchiali – e, nel farlo, anche a sensibilizzarle e educarle a trattare di argomenti liturgici e architettonici.
Ogni gruppo, dopo riunioni introduttive svolte presso il monastero di Bose a partire dai primi mesi del 2017, si è rivolto alle comunità parrocchiali, assegnate in via del tutto casuale. Recandosi sul posto, i gruppi di giovani professionisti hanno cominciato a studiare i problemi, non in modo unilaterale, ma rivolgendosi con varie modalità a fedeli.
Anzitutto tenendo incontri per dare ai parrocchiani un’infarinatura di storia dell’arte e dell’architettura oltre che di liturgia, quindi chiedendo che i parrocchiani esprimessero i loro desideri.
Una modalità originale per sollecitare opinioni non viziate da pregiudizi è stata quella adottata da uno dei gruppi. Ha compiuto con alcuni parrocchiani un’esplorazione in diverse altre chiese, cominciando dalle più antiche per arrivare alle più nuove, e ha chiesto che queste venissero commentate tramite fotografie, ovvero senza passare attraverso la mediazione culturale delle formalità linguistiche. Ne sono nate osservazioni di rilevante interesse anche da parte di ragazzini, come per esempio che in alcuni ambienti l’uso del colore forte tende a “chiudere” lo spazio.
In altri casi sono stati proposti questionari. Rispondendo alla domanda, quale fosse la chiesa dei loro sogni, alcuni hanno mostrato di preferire l’immagine di una chiesa simile a una casa: soprattutto appariva importante la figura del tetto come elemento protettivo.

In un caso è stato compiuto un esperimento volto a esplorare quale rilevanza le persone attribuissero alla luce: un gruppo è stato posto in un ambiente chiuso e buio e poi è stato chiesto ai singoli di dire che cosa pensassero di tale ambientazione. Non ne sono state ricavate osservazioni di sorta. Si è ripetuto l’esperimento con tre gradazioni di luminosità crescente, nello stesso ambiente: prima alla luce di una candela, e in questo caso alcuni hanno espresso il loro disagio per le precedenti condizioni di buio. Quindi alla candela è stato aggiunto il chiarore del lucernario, e in questo caso tutti hanno mostrato di sentirsi a proprio agio. Infine si è aggiunta la luce di alcune lampade a quella della candela e del lucernario: tutti hanno manifestato fastidio per l’eccesso.
Ne risulta che preferibile è il giusto mezzo, e un bambino ha spiegato che ideale è una chiesa in cui la luce delle candele metta in risalto l’espressione dei volti delle persone.
L’esercizio dei raffronti di tipologie diverse di architettura ha permesso di acquisire una piattaforma di linguaggio comune, e il fatto che i gruppi del CLI Lab si siano rivolti anche ai bambini ha consentito di ottenere risposte spontanee e fantasiose.

L’insieme delle risposte ottenute sarà ora vagliato, strutturato e messo a disposizione delle diocesi che potranno usarlo come strumento conoscitivo per formulare i documenti atti a impostare le linee sulle quali articolare i concorsi che dovranno essere tenersi per dotare di chiese le quattro comunità che ne sono mancanti.
L’iniziativa ha il pregio di non aver anteposto la sapienza del progettista al gusto e alla sensibilità delle persone. Al contrario, l’indagine conoscitiva permetterà a chi sarà incaricato del progetto della nuova chiesa, di concepire risposte non solo fondate sulla propria competenza, ma anche sulla conoscenza del modo in cui le persone comprendono e interpretano il luogo in cui vivono in relazione alle esigenze proprie.
Un passo preliminare, ma che aggiunge sostanza allo studio del genius loci che inevitabilmente qualsiasi progettista deve compiere prima di accingersi a disegnare.