La Fortezza da Basso, luogo storico nel centro di Firenze, ha ospitato il V Convegno Nazionale Ecclesiale dal titolo “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, dal 9 al 13 novembre 2015. Per quell’occasione è stata oggetto di un intervento architettonico, a cura di Paolo Zermani, che l ‘ha reso consona a un evento di pace e di preghiera. In particolare l’antica polveriera è stata trasformata in cappella.
Già dal 1966 la Fortezza è divenuta il principale polo fieristico del capoluogo toscano. L’architettura originaria è del periodo 1534-37 e fu costruita su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane. Ma le sue poderose mura e i bastioni che segnano gli spigoli della struttura pentagonale non mancano di ricordare le origini di natura guerresca.
Risulta pertanto particolarmente interessante osservare come, pur con pochi accorgimenti strategicamente studiati, Paolo Zermani è riuscito a disporre elementi che hanno ricavato dalle strutture esistenti un senso totalmente diverso da quello che ne informa la nascita. Alcuni segni, si disarmante semplicità, sono stati sufficienti per dare un significato nuovo al sito. Non più alcunché di militaresco; non più alcunché di fieristico. Un luogo che è divenuto accogliente, capace di comunicare un senso di intimità
Anzitutto una grande, quanto essenziale croce dai bracci eguali, in acciaio colorato di bianco è stata fissata, inclinata in avanti come un’asta portabandiera, accanto al fornice di accesso al fortilizio. Un segno a un tempo esile e forte, che grazie all’inclinazione media il distacco tra terra e cielo. E rende familiare a chi accede il discorso nuovo che s’apre nell’ex fortezza.
E più avanti, oltre i grandi cortili e i padiglioni che vi sono stati disposti per ospitare convegni ed esposizioni, ovvero oltre la vastità degli spazi interni, ecco apparire, defilato, un luogo inconsueto. Un corpo di fabbrica oblungo sormontato da un altro tetto a falde: si vede subito che è dotato di pareti possenti, spesse. Che è inteso a proteggere qualcosa di prezioso: è la polveriera. Fatta per resistere alle bombe, così che gli esplosivi al suo interno non deflagrassero…
Al suo interno è stata ricavata la cappella: una preziosità ben diversa. Un luogo in cui nascondimento e rivelazione si incontrano.
Riferisce Zermani: «È stata un’esperienza di grande interesse, e ha consentito di mostrare come il progetto contemporaneo possa dialogare con l’antico, pur con mezzi limitati, se sono chiari i concetti.
Nella cappella è stato particolarmente esaltante il rapporto tra funzione liturgica e architettura.
L’idea è stata quella di una strada, una via, che collegasse le opposte aperture della ex polveriera, fissando sul suo percorso, come fossero tre cippi, un altare al centro, un ambone e la custodia eucaristica alle estremità. Così il tema spaziale è stato risolto con elementi semplicissimi ma dotati di grande forza evocativa».
Agli occhi di chi entra nella cappella risalta subito il bianco marmoreo dell’altare. Non solamente perché posto nel punto medio della pedana oblunga anch’esso marmorea, ma anche perché si trova in una relazione diretta col crocifisso: lo sguardo di questo è rivolto al piano della mensa eucaristica. E così alla dimensione orizzontale stabilita dalla pedana, distesa tra tabernacolo e ambone, si aggiunge, con eterea grazia, la dimensione verticale data dal dialogo tra lo sguardo del crocifisso e il piano dell’altare. Due direzioni intersecate a formare un’altra croce, tanto impalpabile quanto densa di vigore poetico.
Il tutto disposto sotto l’alta volta in mattoni che, grazie all’attento uso dell’illuminazione, ha trovato il senso della profondità, come un rimando al mistero dell’alterità.
Come dice Zermani: «I monumenti suggeriscono essi stessi le soluzioni. Basta ascoltarli».
(LS)