Si è svolto nel Monastero di Bose, dal 30 Maggio all’1 Giugno il XVII Convegno Liturico Iternazinale sul tema “L’Altare. Recenti acquisizioni, nuove problematiche“.
Oltre duecento i partecipanti, da 15 nazioni: gli appuntamenti di Bose su architerttura e liturgia sono divenuti un’istituzione e di fatto l’unico luogo al mondo in cui le complesse e delicate tematiche relative agli spazi per il culto sono sistematicamente messe a tema ed esplorate da più punti di vista.
L’altare quale cuore della chiesa era già stato oggetto del secondo incontro liturgico, avvenuto nel 2003. La ripresa dell’argomento, come ha indicato nel suo indirizzo di saluto Mons. Stefano Russo, Segretario Generale della Confrenza Episcopale, costituisce un “giro di boa”: non una riedizione di qualcosa già trattato, ma il compimento di un primo tratto di percorso, che ha la sua origine attorno al Concilio Vaticano II, e prosegue ora giovandosi della maturità acquisita nell’oltre mezzo secolo passato.
Se il fondatore del Monastero di Bose, Enzo Banchi, ha posto subito l’accento sull’aspetto cruciale del problema, sottolieando come l’altare sia luogo di un’azione liturgica e non semplice oggetto e tanto espressione allegorica (“Pensare l’altare come monte, come ara, come calvario, come tomba, come reliquiario – e potremmo continuare a lungo – di fatto impedisce di contemplare con semplicità la sua sacramentalità e nutre l’immaginario devoto di allegorie che annebbiano il suo significato“) i diversi interventi succedutisi hanno nella prima giornata presentato l’ampio quadro storico e liturgico nella cui prospettiva si colloca la visione dell’altare dei nostri giorni. Nella seconda giornata di particolare pregnanza e completezza è risultato l’intervento di Don Giuliano Zanchi, che ha esaminato il tema collocandolo nella trama di rapporti che attraversano tutto lo spazio liturgico. Così che l’altare risulta bensì luogo fondante, ma attraverso una presenza che si irraggia agli altri poli liturgici.
Nell’intervento di Don Zanchi, come anche in altri interventi quali per esempio quello del P. Bert Daelmans, sono affiorati richiami alle sistemazioni spaziali studiate da Rudolf Schwarz a suo tempo: lo spazio della chiesa infatti consegue — o dovrebbe conseguire — nella sua composizione architettonica al modo in cui la pianta si organizza, in tutte le sue presenze, nella relazione con l’altare e nella sommatoria dei luoghi che la segnano.
L’argomento della relazione, tra luoghi liturgici e tra le persone nell’assemblea, è stato posto da Jean-Marie Duthilleul al centro della presentazione delle sue opere, tra le quali spicca la nota chiesa di St. Francois Molitor a Parigi, con l’aula disposta a “Communio Raum” e una parete di fondo trasparente su un giardino, inteso quale “Eden ritrovato”.
Presentiamo di seguito i sunti delle tre giornate, secondo quanto esposto anche nel sito del Monastero di Bose:
L’altare. Recenti acquisizioni, nuove problematiche
XVII Convegno Liturgico Internazionale, Bose (30 Maggio-1 Giugno 2019)
Giovedì 30 Maggio mattina: l’apertura
Oggi «siamo in grado di tentare una lettura dell’altare più “evangelica”, più conforme all’annuncio della buona notizia fatta da Gesù Cristo» ha detto Enzo Bianchi nell’aprire il XVII convegno liturgico internazionale di Bose, che riprende il tema “altare” già trattato nel secondo Convegno del 2003. Approfondire l’argomento necessario poiché «sull’altare permane un accumulo di significati “inventati” nelle diverse epoche che impedisce di cogliere la sua specificità cristiana». Enzo Bianchi ha rivolto il suo saluto ai tanti ospiti presenti:tra questi Mons. Tommaso Valentinetti arcivescovo di Penscara Penne e l’arcivescovo metropolita di Vercelli, Mons. Marco Arnolfo. Quest’ultimo ha evidenziato come «il primo gesto liturgico nell’iniziare la celebrazione sia il bacio all’altare», che così apre il rapporto con tutto il corpo di Cristo, che è comunità. A testimoniare il valore ecumenico dell’incontro, l’archimandrita Athenagoras del Patriarcato Ecumenico ha riferito come le Chiese ortodosse abbiano bensì differenze tra loro e con la Chiesa cattolica, ma per tutte «risalta la centralità dell’altare come santa mensa». È stato letto di S. Em. Card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, il «beneaugurante saluto» inviato da papa Francesco, auspicando che dall’incontro emerga sempre più radicata «la comprensione della liturgia come fonte di vita», e Mons. Angelo Lameri ha portato il saluto di Mons. Stefano Russo, Segretario Generale della CEI, che ha ricordato come questo incontro si pone come «giro di boa» nel riaffermare la centralità del mistero eucaristico.
Don Valerio Pennasso, Direttore dell’Ufficio Nazionale Beni Culturali Ecclesiastici e Edilizia di Culto ha riferito che tanti «si interrogano su come adeguare le chiese»: ma prima che sul “come” l’accento va posto sul “perché”. Un gesto colpisce: «l’unzione col crisma che compie il vescovo alla consacrazione: lavorando quasi a dar forma a quell’altare. Un gesto unico e irripetibile. Parlare di altare è parlare di stile di partecipazione alla comunità che è corpo di Cristo». L’Arch. Giuseppe Cappochin, Presidente del Consiglio Nazionale Architetti P.P.C. ha spiegato come anche tra gli architetti nascano esperienze di comunità: per esempio l’anno scorso la “città” è stata messa a tema e sono state coinvolte scolaresche per raccogliere indicazioni su come migliorare lo spazio pubblico.
Martin Ebner, dell’Università Friedrich Wilhelms di Bonn ha svolto una relazione sull’evoluzione dell’altare nei primi secoli: «Dell’altare non si parla nel Nuovo testamento se non per una singola citazione. Mentre in tanti luoghi del Vecchio testamento se ne parla, quale luogo per il sacrificio». Nella tradizione greca si sacrificavano animali, poi bruciati perché il fumo salisse al cielo, a «uso della divinità». La biblica descrizione del tempio di Gerusalemme riprende la tipologia degli altari pagani diffusi nell’area mediterranea in cui il sacrificio era praticato dal sacerdote a questo delegato: in questo il cristianesimo si distingue per la dimensione comunitaria del rito e per il fatto che il sacerdote è visto come parte della comunità e coi fedeli partecipa a celebrare la memoria dell’Ultima cena: e attorno a tavoli di legno, in forma di simposio.
Le Professoresse Manuela Gianandrea dell’Università La Sapienza di Roma e Elisabetta Scirocco, del Max-Planck Institut für Kunstgeschichte di Roma, hanno riassunto le più recenti attestazioni archeologiche su nascita ed evoluzione dell’altare cristiano, in particolare in Roma. Dov’era il centro delle basiliche paleocristiane? «In San Pietro o in San Paolo nel trópaion e, dunque, nel corpo degli Apostoli; in Santa Croce in Gerusalemme nella reliquia della vera croce e solo nella basilica lateranense forse nell’altare». L’esigenza di far coincidere luogo dell’altare e reliquia sembra compiersi solo nel VI secolo, in esempi quali quello di San Pietro o San Lorenzo. In San Piero si svilupperà anche la tendenza all’erezione di altari laterali come luogo di sepoltura dei pontefici: nascono così poli liturgici secondari che frammentano lo spazio della chiesa. Mentre l’altare maggiore tende riaffermare la propria preminenza attraverso una crescente monumentalità collegata ad apparati volti a segnare la distanza tra popolo e sepolture dei martiri, che attiravano il concorso esuberante di folle – e la riaffermerà sempre di più nel tempo.
Giovedì 30 Maggio. Sessione pomeridiana
«Nel parlare di architettura e arti per la liturgia, sottolineo la rilevanza della preposizione: per» ha detto l’Arch. Gabriele Orlando, direttore del Master in Architettura per la liturgia del Pontificio Istituto Sant’Anselmo, nell’aprire i lavori: «Ogni espressione artistica ha un propria finalità nel comporre lo spazio liturgico, così come l’esercizio della liturgia ha bisogno di spazi dedicati: v’è reciproca influenza». E questo è vero nella storia, come ha dimostrato il Prof. Gianmario Guidarelli dell’Università degli Studi di Padova trattando il tema “Organizzazione degli spazi liturgici tra XIV e XVI secolo”. «Il Rinascimento è stato un periodo denso di sperimentazioni» ha esordito questi «nel corso del quale è cresciuto il ruolo dei privati nella costruzione delle chiese». Il che si è tradotto in un’accentuazione della monumentalità volta a celebrare personaggi di potere, in particolare attraverso la committenza di strutture funerarie entro le chiese, e attraverso la proliferazione di opere artistiche e ornamentali. Queste ultime a loro volta, dopo la Riforma protestante, si sono tradotte negli apparati necessari per riaffermare la vera presenza del Corpo di Cristo. E quindi «nella promozione della prospettiva focalizzata sul tabernacolo posto sull’altare maggiore». Il coro dei frati è stato spostato – v. la basilica superiore di Assisi – nell’abside riprendendo lo schema paleocristiano mentre l’altare veniva posto sulla corda dell’abside stessa. Spesso le pale d’altare erano intese come momento di riconfigurazione dello spazio, a confermarne il punto di fuga centrale entro figurazioni che ne completavano il disegno architettonico (v. S. Maria dei Frari a Venezia). Il sommarsi di altre presenze quali tramezzi, pontili, archi trionfali, pergule ha contribuito bensì a evidenziare il luogo dell’altare ma anche a demarcare la distanza tra questo e le navata: tra presbiteri e popolo.
Il Prof. Dominik Jurczak, del Pontificio Istituto Liturgico S. Anselmo ha concluso la prima giornata del Convegno con una relazione su “Eredità del barocco e esigenze della liturgia oggi”. Egli ha volto lo sguardo verso il Motu Proprio “Summorum Pontificum” promulgato da Benedetto XVI nel 2007, con l’intento di giungere a una riconciliazione con coloro che desiderano praticare il rito secondo il Messale Romano del 1962, cioè nelle modalità vigenti dal Concilio tridentino. Con tale documento si consente l’esercizio del rito tridentino in via straordinaria senza bisogno di ottenere permessi ad hoc. Il problema verte sul tema della participatio actuosa, del popolo tutto chiamato quale corpo mistico a essere parte attiva nella celebrazione. E a corollario di questo riguarda la collocazione dell’altare: quelli barocchi addossati non consentivano di girarvi attorno come è richiesto dalla Sacrosanctum Concilium. Ma il rischio implicito in questa sistemazione postconciliare dell’altare è che il presidente rivolgendosi “versus populum” divenga protagonista dell’azione, in questo sminuendo il ruolo dell’altare stesso. Il che resta favorito laddove gli adeguamenti liturgici sono compiuti ponendo nuovi altari la cui presenza resta sbiadita dalla predominanza del fasto del vecchio altare barocco. Sta all’ispirazione di artisti e architetti riuscire a immaginare nuovi altari capaci di porsi come luogo di centralità, pur in presenza dei vecchi altari barocchi.
Venerdì 31 Maggio. Sessione mattutina
«La riforma liturgica ha restituito il principio per cui il segno proprio della chiesa viene dalla forma dell’assemblea che si raduna attorno all’altare» su questo concetto Don Giuliano Zanchi, Direttore del Museo diocesano di Bergamo, ha imperniato la relazione che ha aperto la seconda giornata del Convegno. «Per questo bisognerebbe saper progettare le chiese a partire dall’altare». Ma la maturazione della Riforma liturgica è ancora in atto, continuano le sperimentazioni in un clima che risente della polarizzazione tra nostalgie e superficiali eccessi, nel cui contesto miracoloso risalta il «ritorno dell’altare e dell’ambone intesi come elementi salienti di una rinnovata geografia spirituale» allontanandosi dall’abitudine postridentina che aveva trasformato il primo nel pulpito e il secondo in gigantesco reliquiario. Si afferma invece il primato dell’azione liturgica e solo oggi si comincia a intuire l’effetto dell’altare sulla concezione e articolazione degli spazi liturgici, perché l’altare «è simbolo forte e primordiale… segno di tangenza del divino» (v. Pierangelo Sequeri, “L’Estro di Dio”). E la tendenza a imprimervi allegorie volte a esplicitarne il senso manifesta la debolezza del modo in cui è concepito. Perché in realtà l’altare «non deve essere a forma di niente» altro che di se stesso – mensa e luogo del sacrificio assieme, senza che l’un aspetto prevalga sull’altro – e nella sua nudità materica deve agire, per stabilità e solidità, quale magnete che attiva una relazione biunivoca con tutti gli altri luoghi liturgici. Una visione ipotetica dello spazio della chiesa futura lo immagina non come «cerchio che si concentra sul suo ombelico», né come plotone in marcia, ma come assemblea incamminata verso il tempo che sta oltre. Come calice aperto verso là dove si è chiamati.
La seconda relazione, di Johannes Stückelberger, docente alla Facoltà Teologica dell’Università di Berna, si è rivolta al tema dell’altare nelle chiese riformate in Svizzera, dove l’opera di Zwingli ha preceduto quella di Lutero. Nel rifiuto dell’accumulo di immagini e di ornamenti, la Riforma svizzera ha portato a tinteggiare di bianco le aule ecclesiastiche. Il rito incentrato sulla parola è stato portato a essenzialità e lo spazio si è imperniato sul pulpito, mentre altare e battistero si sono sommati in un unico luogo: un fonte in pietra sormontato da una mensa eucaristica in legno. Per Zwingli pane e vino sono segni: non riconosce la transustanziazione. Nello spazio non v’è distinzione tra coro e navata e la sua articolazione, tra polo della parola e luogo dell’altare-battistero appare piuttosto libera: a volte (v. chiesa domenicana di Berna) al centro si trova quest’ultimo, a volte (v. cattedrale di Basilea) il primo. In ogni caso non vi sono spazi sacri, ma solo un luogo per l’assemblea, per quanto nel corso del tempo si siano date diverse sistemazioni. E in anni recenti accade che le aule ecclesiastiche siano dedicate anche ad altre funzioni nel corso della settimana.
Venerdì 31 Maggio. Sessione pomeridiana
S.E. Mons. Roberto Farinella, vescovo di Biella, ha aperto la sessione ricordando come i Convegni di Bose camminino nel segno dell’amicizia tra Chiesa e mondo delle arti. Ha parlato quindi il Prof. Michele De Lucchi, designer e docente al Politecnico di Milano. Evidenziando come tutto oggi sia frutto di produzione industriale, ha notato come sempre si manifesti il tentativo di migliorare gli oggetti e proprio per questo ai designer si richiedono sempre nuove proposte. Nella produzione per la Chiesa, prevalente risulta il senso simbolico che le persone attribuiscono agli oggetti, a partire dall’altare. Nel mostrarne alcuni da lui progettati ha presentato quello della parrocchia di Angera, per la quale ha disegnato un fascio di quattro legni ricurvi a mo’ di barca e sormontati dal piano della mensa: i quattro legni rappresentano i quattro santi di Angera. «Viviamo in un’epoca in cui prevale lo story-telling» e questo ci porta a proiettare sugli oggetti i nostri desideri. Se ne risulta ovvia la funzione, il loro significato risiede anzitutto nel modo in cui noi li guardiamo, ha concluso De Lucchi.
Introdotta da Donatella Forconi, ha quindi preso la parola la Prof.ssa Micol Forti che dirige la Collezione di Arte Contemporanea dei Musei Vaticani: rievocando la lunga e fruttuosa dialettica tra arte e Chiesa ha evidenziato che l’espressione artistica non è pura questione di gusto, ma manifestazione della verità e pertanto va collegata alla religione e alla filosofia (v. Hegel, “Lezioni di estetica”) e si esprime nella concretezza materica dell’oggetto. Nel caso dell’altare, si sa che questo è sempre stato rivisitato nel trascorrere dei tempi e nell’evolvere della sensibilità liturgica e per quanto vi sia una dialettica col luogo (un altare che si trovi in un museo perde il proprio ruolo), il luogo di per sé non è sufficiente a garantire la qualità dell’altare stesso: di qui l’importanza della sua fattura. Per la quale oggi si richiede la “nobile semplicità” cui fa appello il Concilio e della quale peraltro già parlava il Winckelmann nel XVIII secolo, riferendosi non solo all’assenza di orpelli, ma alla chiarezza e unitarietà della forma.
Tra i vari esempi di altari presentati, spicca quello pensato da Matisse per la cappella di Vence: posto di scorcio per rivolgersi tutto attorno nello spazio, e in pietra grezza per accentuarne il distacco dalla pavimentazione in lucido marmo bianco.
Altri esempi di altari contemporanei, realizzati in questi ultimi anni, sono stati presentati e commentati dal Prof. Bert Daelmans, della Universidad Pontificia di Comillas (Madrid) attraverso sette passi: La relazione tra altare e croce, La posizione dell’altare come centro della chiesa quale “segno di Cristo sacerdote vittima”, L’altare visto quale mensa eucaristica, L’unità tra altare e ambone, Il passaggio tra la “mensa della parola” e la “mensa del corpo del Signore”, L’altare quale polo centrale, ovvero soglia cristocentrica, L’altare escatologico, capace di indicare la relazione tra altare fisico e altare celeste. Esempio di quest’ultimo è la chiesa gesuita di Berlino, composta da due cubi cementizi: uno aperto, l’altro chiuso. Nel primo, un elemento di arenaria è un frammento dell’altare presente nello spazio chiuso. Si attiva tra i due una tensione dinamica che riconduce all’assoluta alterità escatologica.
Sabato 1 Giugno. Sessione mattutina e conclusiva
«Altare è mettere in relazione. Per questo la sua concezione è un gesto architettonico»: così ha esordito l’architetto Jean-Marie Duthuilleul, autore di molti adeguamenti liturgici in Francia tra i quali quello di Notre-Dame e di diverse chiese nuove tra le quali particolarmente nota è St. Francois Molitor di Parigi.
La sua relazione è stata accompagnata dal commento del Prof. Gilles Drouin dell’Institut Superieur de Liturgie di Parigi, che ha posto in rilievo come vada rispettato il genius loci della chiesa: l’altare va pensato in relazione agli altri poli e soprattutto lo spazio nel suo complesso va inteso come capace di ospitare un’assemblea aperta al dialogo al proprio interno. Da tali premesse hanno preso avvio gli interventi di Duthuilleul, la cui manifestazione più matura è la chiesa di St. Francois Molitor: su un lotto rettangolare, presenta una parete di fondo trasparente su un giardino che evoca l’Eden ritrovato grazie alla salvezza. La croce campeggia sulla vetrata mentre i poli liturgici si allineano su un asse centrale ai due lati del quale l’assemblea trova disposizioni avvolgenti. In questo modo l’assemblea è presente a se stessa e la partecipazione attiva ne consegue in modo naturale.
Il Prof. Ignacio Vicens, di docente a Madrid e al Politecnico di Milano, ha presentato il progetto realizzato per le celebrazioni presiedute da Benedetto XVI nella Giornata Mondiale della Gioventù svolta a Madrid nel 2011. Per il momento dell’accoglienza fu realizzato un palco in Plaza Cibeles davanti al palazzo del Comune: per distaccarsi dall’architettura storicistica di questo si è scelto di sormontarlo con un lungo baldacchino ricurvo e di colore bianco per distinguersi dall’intorno. Per la veglia e la Messa conclusiva, per oltre un milione di persone, un altro palco lungo 250 metri è stato allestito nell’aeroporto di Cuatro Vientos. Sul palco, un lungo telo bianco sul quale erano proiettate immagini e luci faceva da fondale, e la posizione dell’altare era segnata da una scultura lignea conformata ad albero. Sono strutture effimere, ma restano nel ricordo dei partecipanti e la loro funzione è di evidenziare una compresenza: quella del Santo Padre col grande popolo di giovani, che in tali occasioni si sentono quanto mai partecipi dell’universalità della Chiesa.
L’ultima presentazione ha riguardato Villa Serena, ricovero per anziani in Spoltore (Pescara), in cui risalta l’intervento dell’artista Ettore Spalletti. Il pittore qui ha giocato sull’intensità dell’azzurro realizzato tramite la miscelazione di polveri che conferiscono al colore capacità di attivare molteplici riflessi. «Ho voluto dare nuovo colore al colore» ha commentato Spalletti. Perché il colore è come un grande paesaggio: «Ti porta lontano e quando ci sei dentro non sai dove potrai arrivare».
Nel concludere l’incontro, Enzo Bianchi ha annunciato che il prossimo Convegno liturgico avrà luogo dal 28 al 30 maggio 2020.
(cfr https://www.monasterodibose.it )