CONVEGNO INTERNAZIONALE “DIO NON ABITA PIÙ QUI?”
Dismissione di luoghi di culto e Gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici
(Roma – Pontificia Università Gregoriana – 29/30 novembre 2018)
Il problema della dismissione dei luoghi di culto cattolici non è una questione di questi ultimi anni. Già nel 1987 la Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia (1924-1988) pubblicava la “Carta sulla destinazione d’uso degli antichi edifici ecclesiastici”. Il documento, presentato in occasione di un convegno, metteva a fuoco soprattutto la situazione italiana e il patrimonio immobiliare oggetto delle requisizioni di fine Ottocento a seguito dell’Unità, in gran parte non più di proprietà ecclesiastica e proponeva delle linee guida tenendo conto delle più aggiornate direttive internazionali in materia di restauro architettonico.
A trent’anni di distanza, la Santa Sede torna a puntare l’attenzione sul fenomeno in una situazione generale in cui i problemi che allora si affacciavano appena oggi hanno acquistato proporzioni più ampie. Non si posseggono statistiche sulla dismissione di chiese perché non è stata ancora compiuta un’indagine sistematica, né le conferenze episcopali posseggono dati, noti piuttosto alle singole diocesi. Tuttavia la stampa internazionale, a partire dagli inizi degli anni 2000, si è interessata con una certa frequenza al fenomeno quando venivano alla ribalta notizie ancora in grado di suscitare una certa reazione da parte dell’opinione pubblica: vendita di chiese e loro trasformazione in abitazioni, negozi, bar, ristoranti, palestre e centri di benessere, discoteche, moschee, oppure passerelle per sfilate di moda fra altari ancora dotati delle loro pale.
Il fenomeno ha avuto un peso maggiore in nazioni come Francia, Belgio, Olanda, Germania, Svizzera, Stati Uniti e Canada, ma molti casi si sono verificati anche in Italia; inoltre il problema appare trasversale alla Chiesa cattolica e a quelle protestanti.
Le cause della chiusura di chiese sono generalmente individuate nella contrazione delle comunità cristiane, nell’abbandono della pratica religiosa, nella scarsità di clero. Le chiese si chiudono tanto nelle zone rurali quanto nelle città, dove sovente si procede alla concentrazione delle parrocchie in unità pastorali o alla loro abolizione. Eppure a tali provvedimenti, pur sofferti da parte dell’Autorità ecclesiastica, la popolazione quasi sempre si oppone perché l’edificio chiesa possiede una valenza simbolica e rappresentativa alla quale si rinuncia con fatica. Il fenomeno è stato già affrontato con una certa tempestività da alcune Conferenze episcopali (in Germania nel 2003 e in Svizzera nel 2006), ma altri episcopati hanno dedicato all’argomento alcuni passaggi in documenti sull’amministrazione patrimoniale o la gestione dei beni culturali. Inoltre diverse università e centri accademici europei e nord americani hanno prodotto nell’ultimo decennio un discreto numero di ricerche utili per studiare ed affrontare il problema sotto il profilo giuridico e tecnico, anche se il taglio prevalente è quello delle nuove possibilità offerte alla progettazione architettonica. Partendo da questo retroterra il convegno, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura (Dipartimento per i Beni culturali), dall’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Conferenza Episcopale Italiane e dalla Pontificia Università Gregoriana – Dipartimento dei Beni Culturali della Chiesa, intende affrontare l’argomento sotto un profilo complessivo che non trascuri l’approccio pastorale. Al punto di vista sociologico – per individuarne le cause complesse (è in atto non solo una secolarizzazione della società ma una trasformazione del senso religioso) – e giuridico – per valutare i limiti posti dalla legislazione canonica e civile – faranno seguito interventi che si sforzeranno di individuare soluzioni congrue per i beni immobili e mobili che suggeriscano una “restituzione di dignità” e di “riappropriazione d’uso” da parte delle comunità cristiana del proprio patrimonio dismesso in alternativa alla vendita o alla demolizione. Contestualmente saranno discusse e approvate delle “Linee guida” sulla dismissione e il riuso del patrimonio ecclesiastico, condiviso fin dalla fase preparatoria con i delegati delle conferenze episcopali d’Europa, America settentrionale e Oceania presenti al convegno.
La linea di pensiero tanto del convegno quanto del documento finale che si intende suggerire è non tanto stabilire se e quando dismettere, se e quando vendere una chiesa (la scelta ultima è dei vescovi e talvolta è una scelta obbligata), quanto dimostrare la necessità di una programmazione a lungo termine coinvolgente le comunità e della ricerca di un’intesa con le autorità civili per la pianificazione tanto delle nuove costruzioni quanto delle dismissioni.
Nel frattempo anche il quadro della riflessione giuridica internazionale ha fortunatamente maturato un apprezzamento nei confronti della specificità del patrimonio religioso come parte integrante del tessuto culturale complessivo e ritiene ormai imprescindibile il coinvolgimento delle comunità locali nei processi di conoscenza e decisione per ogni pianificazione rivolta al patrimonio culturale (soprattutto la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, Faro 2005 e la Dichiarazione sulla protezione del patrimonio religioso incluso nell’Unesco World Heritage Convention, Kiev 2010).
Sullo stesso tema è anche pubblciata una “Call for posters and papers” destinata a ricercatori e centri accademici dal titolo La dismissione e il riuso delle chiese: temi e prospettive di ricerca. Lo scopo è di conoscere quali siano le ricerche in corso o appena ultimate sui temi del riutilizzo e della rigenerazione delle chiese dismesse o sottoutilizzate, al fine di contribuire alla messa a punto di politiche in materia e di favorire il confronto sui metodi.
La seconda mattinata del convegno sarà poi dedicata ad alcuni esempi internazionali significativi in cui la gestione dei beni culturali ecclesiastici e la loro valorizzazione è inserita in una programmazione pastorale da parte di una diocesi o di un gruppo di diocesi. Si cercherà di dimostrare che il patrimonio culturale della Chiesa, formato in un contesto di fede e di carità attraverso il tempo, sia ancora in grado di veicolare una cultura cristiana, se opportunamente valorizzato e non considerato come un peso da mantenere. Ancora una volta ciò è possibile coinvolgendo le comunità cristiane nell’apprezzamento e nella gestione del patrimonio da loro ereditato e puntando sulla formazione di operatori tecnicamente abili e culturalmente motivati.
Alla conoscenza più ampia dei vari contesti e delle diverse esperienze nazionali saranno dedicati i due pomeriggi in cui una quarantina di delegati delle conferenze episcopali provenienti dalle aree interessate, con problemi comuni nella gestione del patrimonio culturale, si scambieranno le rispettive esperienze e stabiliranno contatti. La loro convocazione costituisce una novità di rilievo e per questo saranno loro riservati i due pomeriggi, mentre le mattinate saranno aperte a tutti.
Pontificio Consiglio della Cultura, Dipartimento per i Beni culturali
Conferenza Episcopale Italiana, Ufficio Nazionale per i beni culturali e l’edilizia di Culto
Pontificia Università Gregoriana, Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa, Dipartimento dei Beni Culturali della Chiesa
Il programma del convegno: