La Moschea AlJabri a Ha’il (Arabia Saudita) Progetto dello Studio Schiattarella Associati (Roma)
Ogni cosa creammo in giusta misura / e il Nostro ordine è una sola parola, / [istantaneo] come battito di ciglia. (Cor, LIV, 49-50)
Di ogni cosa abbiamo tesori / ma la facciamo scendere / in quantità misurata. (Cor, XV, 21)
di Stefano Mavilio
Premessa Conformemente con il Waqf, principio giuridico economico secondo il quale “una persona poteva legare il proprio capitale alla fondazione di un’opera pia, funzionante come una impresa commerciale della cui rendita potevano beneficiare gli eredi” (Spinelli 2007), la Moschea AlJabri a Ha’il – in Arabia Saudita – progettata dallo Studio Schiattarella Associati, è stata finanziata dagli eredi della famiglia AlJabri in onore e in memoria del defunto padre; secondo tale tradizione, la costruzione “benemerita (…) appare spesso come un insediamento autonomo, anche quando si situi in un centro urbano” (ibid.).
A conferma di quanto sopra, la città di Ha’il, città-oasi del Najd, nelle regioni nord-occidentali dell’Arabia Saudita, capoluogo dell’omonima provincia, appare sì come un insediamento urbano compiuto ma si dispone in una zona semi desertica, lungo la rotta carovaniera che conduce i pellegrini alla Mecca, che dista circa 500 chilometri, tanti quanti la separano da Riyadh; più prossima Medina, luogo ove il Profeta, a somiglianza del cortile della sua dimora, volle realizzare la prima moschea, della quale nulla rimane, dopo essersi qui stabilito in seguito all’Egira nell’anno 622 d.c.
Non è mio compito, quanto piuttosto degli storici dell’arte, segnalare quali siano i caratteri distintivi della moschea; una cosa comunque è certa: che la moschea non è edificio esclusivamente religioso “e non lo divenne so non in un’epoca relativamente inoltrata, sotto gli Abassidi” (Monneret de Villard, 1968). “Essa è nello stesso tempo foro, arengario e luogo di culto e come tale non ha la precisa richiesta di un determinato programma architettonico” (ibid.) salvo quando questo venga definito dalla committenza, come nel caso che qui si presenta al lettore.
Importante è che accolga il maggior numero di fedeli e che sia orientata, come avevano già espresso in termini architettonici l’ebraismo ed il cristianesimo. Quali che fossero i modelli di riferimento dei primi costruttori di moschee, modelli di provenienza bizantina, sassanide e forse yemenita, il modello originale disponeva i fedeli in una sala rettangolare con l’ingresso sul lato lungo con un tetto portato da colonne disposte in senso trasversale, all’interno della quale gli elementi di rilievo sono il mihrab, ad indicare la qibla, e alla sua destra il minbar, in origine seggio riservato al capo della comunità e pertanto all’Imam.
A prescindere dalla moschea realizzata da Maometto dopo la sua fuga da Mecca, della quale nulla sappiamo se non che fosse semplicemente tracciata, con una tettoia di frasche al lato della qibla, segnalo che le prime moschee delle quali abbiamo notizie certe sono quella di al-Basra, anch’essa semplicemente tracciata, e quella di al-Kufa, in forma di recinto quadrato, con la tettoia portata da colonne di spoglio; anche la corte si presenterà presto come elemento essenziale per la definizione della moschea in quanto tipologia edilizia.
Tutto questo preambolo per segnalare come, a distanza di 1400 anni circa, le soluzioni adottate nel progetto di una moschea siano praticamente ancora le medesime. Vuoi per la posizione: la moschea AlJabri è prossima ad un ospedale, anch’esso nel numero delle opere di misericordia in linea con il waqf; vuoi per il programma edilizio complesso (come vedremo più avanti) che prevede molte e diverse funzioni oltre a quella cultuale; vuoi per l’essere di forma quadrata, all’interno di un’ampia corte rettangolare.
Il progetto dello Studio Schiattarella La moschea “Sheikh Khalid Aljabri”, il cui incarico presso lo Studio Schiattarella Associati del 2017 è attualmente alla fase del progetto preliminare, sarà realizzata in località Ha’il, a nord di Ryiad in zona extra-urbana a carattere semi desertico, qualificandosi, a detta dei progettisti, “come un pezzo di città a sé stante”.
È delimitata da una grande corte, porticata dal lato interno, che ne ritaglia nettamente la superficie separandola dal contesto, presentandosi in tal modo ontologicamente all’esistenza, giacché, come rammenta Vittorio Gregotti, “il recinto è la forma della cosa, il modo con cui essa si presenta al mondo esterno, con cui essa si rivela” (Gregotti, 1979). All’interno del recinto si distingue, per misure e proporzioni, il volume dell’aula maggiore che nel contesto giaciturale del recinto si dispone leggermente disassata, per allinearsi correttamente secondo la qibla, vale a dire secondo la direzione che consente al fedele di rivolgere la sua preghiera alla Mecca – che in questo caso, per la posizione geografica del sito, è scostata di pochi gradi dal sud verso l’ovest (vedi la pianta).
Assai complesso ma, alla luce di quanto detto precedentemente, altrettanto chiaro, è il programma edilizio, che prevede che vengano realizzati diversi “comparti” a carattere specialistico (il culto, lo studio, il tempo libero, lo spazio per le famiglie) e un’area per i defunti, con cappella dedicata, nonché una foresteria.
Il primo “comparto”, al quale dedicherò maggiori attenzioni, è quello liturgico-devozionale, comprendente la grande moschea del venerdì di circa 4.500 metri quadri, una “mosque of everyday” (per le celebrazioni feriali) e il luogo per il lavaggio rituale prossimo all’ingresso – comune alle due aule – completo dello “shoe rack” per le scarpe, da lasciare necessariamente all’ingresso.
La grande moschea del venerdì, con ingresso dalla corte in prossimità del varco di accesso segnalato dal minareto, ha luoghi separati per i due sessi, con ingressi separati e luoghi diversi per le abluzioni e servizi igienici. Lo spazio dedicato alle donne (definito semplicemente “mosche delle donne”), affaccia sull’aula maggiore mediante un brise-soleil, alla maniera delle mashrabiyya che venivano usate nella storia – e ancora oggi – per la doppia funzione di raffrescare e nascondere.
Nello spessore del muro dell’aula maggiore, oltre alla struttura – cui accennerò più avanti – troviamo il miḥrāb in forma poligonale anziché absidale, collegato all’ufficio dell’Imam (con accesso diretto dall’esterno) e il minbar, dal quale l’Imam si rivolge ai fedeli.
Semplice l’interno, le cui pareti sono rifinite con un rivestimento in MDF policromo a taglio verticale, segnato a est dallo scaffale per riporre i libri sacri a uso dei fedeli.
La parte alta dell’aula, verso il grande lucernario in copertura, si presenta come una fodera leggermente discosta dalle pareti esterne. Semplice ma funzionale il pavimento, sul quale sono segnati gli spazi individuali per la prostrazione rituale, ordinati in file, separate le une dalle altre da stretti corridoi secondo il ritmo in centimetri: 120 – 30 – 120. A causa del fatto che la temperatura esterna può raggiungere la temperatura di 50-55 gradi centigradi, l’aula sarà necessariamente dotata di impianto di condizionamento. In virtù delle caratteristiche dell’impianto strutturale, essa è sgombra da pilastri.
Prossimo alla moschea del venerdì, sul recinto, lato est, è situato il “families cafè”, con propria corte alberata, al quale si accede da un ulteriore ingresso attiguo al parcheggio e adiacente al centro per il Ramadan, anch’esso rigorosamente suddiviso in sezioni maschile e femminile, completo di campetto sportivo in copertura. Sul muro nord è posizionata la foresteria, vuoi a uso interno che quale servizio per l’adiacente ospedale; il muro ovest ospita funzioni commerciali, diremmo noi “a reddito”.
La struttura è in calcestruzzo armato, salvo la copertura in acciaio impiegato al fine di ridurre le sezioni delle travi; il rivestimento esterno è in lime-stone (presumibilmente, a giudicare dal colore, un tufo calcareo). Unica decorazione consentita, una scritta di dedicazione in caratteri arabi, sul muro di facciata che guarda a ovest; la mezzaluna è sul minareto.
Semplice e imponente, con i suoi volumi che emergono dal “recinto” e la caratteristica parete inclinata che annuncia il “taglio” ospitante l’accesso all’aula maggiore, la Moschea AlJabri ad Ha’il dello Studio Schiattarella Associati, è la giusta via – pare allo scrivente – per coniugare tradizione e modernità, evitando pasticci storicistici e composizioni di “object trouvé” alla maniera post-moderna, come capita invece di vedere spesso in taluni altri esempi di moschee contemporanee, perfino nel Bel Paese. Funga questa da esempio e quale modello di qualità del “made in Italy”.
Nota
Ringrazio Amedeo ed Andrea Schiattarella, dell’omonimo Studio Associato, per la cortesia con la quale mi hanno accolto e per i disegni e i “render” di progetto che qui appaiono a corredo del testo.
© S. Mavilio 2017