S’è visto che proprio la mancanza di conoscenza del complesso programma di una chiesa porta a costruire edifici di culto pensati solo per la Messa domenicale, e neppure di tutte le domeniche dell’anno…“.

Fernando López Arias

Così Fernando López Arias, docente di Teologia liturgica presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, nonché architetto laureatosi a Madrid, apre il volume che ha pubblicato recentemente dal titolo “Proyetar el espacio sagrado. Qué es y cómo se construye una iglesia” (EUNSA Ediciones Universidad de Navarra, S.A., pagine 302, euro 22,00).

 

Com’è noto, di volumi volti a spiegare come costruire una chiesa nel corso degli ultimi vent’anni, almeno in Italia, ne sono usciti a decine. Il loro numero sembra cresciuto in modo inversamente proporzionale a quello delle nuove chiese, quasi che man mano che viene a mancare la necessità e l’opportunità di compiere nuove realizzazioni edilizie si sentisse il bisogno di teorizzare più intensamente al riguardo. Al che si aggiunga, ovviamente, l’insoddisfazione che alcuni fedeli provano a fronte delle chiese edificate recentemente secondo modalità che si allontanano dal “tipo chiesa” consolidato nel tempo. Nonché il più cospicuo e fondamentale problema relativo alla reale partecipazione delle persone alla vita della Chiesa e per conseguenza alla gestione degli edifici che la rappresentano e in cui si riuniscono le comunità locali.

Uno dei meriti del libro di López Arias, la cui prosa in lingua spagnola è facilmente abbordabile anche dagli italiano parlanti, è che si sviluppa come una specie di visita turistica. L’autore si pone un po’ come un cicerone che introduce e spiega passo passo a un visitatore contemporaneo, che può essere consapevole o no dell’immenso e variegato portato della fede, della tradizione e della sua evoluzione, non tanto come “si deve fare” quanto “di che cosa si compone” lo spazio e l’architettura della chiesa – intesa come quell’insieme armonico di vasta complessità che raccoglie, esprime e attualizza il cristianesimo nella sua immensa estensione storica: con i cambiamenti che ha subito nel tempo e con quanto nel tempo è rimasto costante.

Così agli occhi del lettore si dispiegano le diverse azioni che lo spazio per il culto è chiamato ad accogliere, accompagnare e rappresentare: battesimo, penitenza e riconciliazione, eucaristia, ordinazione, matrimonio, custodia del Santissimo… Raccontate con brevi cenni e riferimenti a come sono maturate dalle origini ad oggi. La relazione gerarchica implicita nelle diverse azioni, e pertanto anche nelle modalità, nelle figure che le amministrano e vi concorrono oltre che nei luoghi che le ospitano, è subito presentata con esplicitezza: il presbiterio – per dire — è trattato per tale, non ridotto solo a pedana per l’altare: unito alla navata ma nella distinzione dei ruoli.

Il rapporto tra chiesa e città, tra quel che sta dentro e quel che sta fuori, è ben presente in ogni momento dell’esposizione che nella sua parte centrale segue — e questo è uno degli aspetti originali di questo volume – la traccia dell’Ordo dedicationis Ecclesiae et Altaris (ODEA), ovvero ripercorre i passi che compie il vescovo nella dedicazione di una nuova chiesa; e lo fa partendo sin dal momento della posa della prima pietra. Questo consente al lettore di vedere nascere l’edificio: dal suo cardine centrale, l’altare, la cui ubicazione resta segnata da una croce sin dall’inizio della costruzione, per diffondersi poi man mano nelle variegate articolazioni sino al suo completamento.

Il punto di vista di López Arias è ascrivibile a un atteggiamento che alcuni potrebbero considerare “conservatore”: per esempio egli, avendo ovviamente in mente le tante chiese contemporanee strutturate in forma circolare, tiene a sottolineare che lo stare attorno (“circumdare“) all’altare non va inteso come un fisico circondarlo da parte dei fedeli, bensì in senso spirituale: per esprimere un atteggiamento interiore di prossimità e di unione con il sacrificio celebrato: ne consegue un’immagine di popolo non che “sta”, ma che “si muove verso” e pertanto quello di una chiesa improntata a una dinamica lineare, pur nelle diverse articolazioni sue proprie. E molta importanza è data ai tanti momenti processionali che compongono le celebrazioni, a partire dall’introito. Di qui la rilevanza degli elementi che segnano questa dinamicità: a partire dalla porta e dalla complessità dello spazio di ingresso (memoria dell’iniziazione, soglia che separa e al contempo unisce, momento di accoglienza, apertura di salvezza, simbolo di Cristo), che è anche parte della facciata e quindi del rapporto che collega la chiesa a quanto la attornia, distinguendola nel contesto eppure anche rendendola alla sua inestinguibile originalità.

Diversi esempi illustrati con fotografie accompagnano l’esposizione non per illustrare questa o quell’architettura, quanto per sostanziare l’esposizione del rapporto di mutua influenza che sempre sussiste tra architettura, spazio e azione. In edifici contemporanei e antichi, così che ne risulta non una scelta di campo tra modernità e storicità, quanto una ricerca dell’essenza che trascende le epoche.

Quattro sono i termini attorno ai quali López Arias dipana il suo racconto dello spazio della chiesa e delle dinamiche che lo attraversano: flessibilità, complessità, organicità e apertura. Non sono punti fermi, ma momenti di una tensione in cui si raccoglie la bellezza “antica e sempre nuova” dell’edificio che è la casa dell’umanità.

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