26 giugno 2016: trent’anni da quando una valanga distrusse la chiesa di Mogno, località del comune di Lavizzara (Vallemaggia) nel Canton Ticino. E vent’anni da quando è stata costruita una nuova chiesa, su progetto di Mario Botta. Due eventi che si ricordano assieme: morte e resurrezione del luogo di culto, che è anche luogo di identità.
Dopo la valanga si è costituita l’Associazione per ricostruire la chiesa, il cui presidente, architetto Giovan Luigi Dazio, spiega in un’intervista pubblicata sul Giornale del Popolo (14 giugno 2016): “Senza il contributo di migliaia di persone la chiesa non si sarebbe fatta. Contributi finanziari, ma anche di competenze e di ore di lavoro: dall’architetto Botta che la progettò e dall’ing. Lombardi che fece i calcoli statici, fino alle aziende e agli artigiani della regione che offrirono manodopera e materiali al prezzo di costo”. L’Associazione negli anni ha raccolto e speso quasi 3,9 milioni di franchi, per un’opera che a prezzo pieno sarebbe costata sui 6 milioni: una testimonianza di quanto la chiesa sia, pur nel nostro mondo secolarizzato, espressione delle radici culturali e civili. Alla celebrazione dell’evento partecipano il consigliere federale Alain Berset, capo dell’Ufficio federale della cultura, il presidente del Consiglio di Stato Paolo Beltraminelli, il consigliere di Stato Christian Vitta, l’arch. Mario Botta, il Vescovo Valerio Lazzeri, il sindaco di Lavizzara Gabriele Dazio. La nuova chiesa non solo è il simbolo della rinascita del paese dopo la frana, ma ha anche contribuito a diffonderne la fama: circa 50 mila persone ogni anno vi si recano per visitarne l’architettura, divenuta notissima nel mondo. La ripresentiamo qui, con un testo che l’architetto Mario Botta ha scritto per questa ricorrenza, per lo stesso Giornale del Popolo:
MOGNO TRENT’ANNI DOPO
“Vogliamo costruire una chiesa, semplicemente perché qui c’era una chiesa!” È con queste parole disarmanti che, qualche giorno dopo la valanga del 26 aprile 1986, l’associazione per la ricostruzione della chiesa di Mogno mi chiedeva di occuparmi del progetto, mettendo a tacere il chiacchierio che si era diffuso in paese sull’opportunità o meno della ricostruzione. Ero sorpreso dalla determinazione e dalla chiarezza degli obiettivi degli uomini dell’associazione, che affermavano di non voler trasmettere alle generazioni future un territorio più povero (perché privo della chiesa) rispetto a quello che loro avevano ricevuto. Una motivazione, che nella sua semplicità, ha sorretto il grande impegno civile e sociale. Ho accettato volentieri questa avventura progettuale, anche se a quel tempo non mi ero ancora confrontato con il tema di uno spazio ecclesiale.
Attraverso le domande della committenza, all’architetto viene indirettamente richiesto d’interpretare i significati che i differenti temi (la casa, la scuola, la biblioteca, la chiesa…) rappresentano in quel momento storico, nella speranza di entrare in sintonia con la sensibilità dei tempi e di promuovere una migliore qualità nell’organizzazione dello spazio di vita.
Ancora oggi una chiesa rappresenta innanzitutto uno spazio di incontro, di meditazione, di silenzio e di preghiera, che concorre a completare e ordinare il territorio della comunità. Nel caso di Mogno mi è sembrato anche che la valanga avesse risvegliato memorie ancestrali e ricordi di valori assopiti nella continua lotta fra l’uomo e la montagna. Mi è sembrato di avvertire una sorta di attesa, come se la cultura del moderno dovesse in questa occasione esprimere forza e valori attraverso un segnale del nostro vivere e della nostra cultura.
La geografia articolata e severa del luogo, i ricordi ancora vivi della solidarietà e della fede dei suoi abitanti, erano le premesse sulle quali si doveva fondare il nuovo impegno.
Per l’architetto, il progetto corrisponde sempre a una prova della verità; costituisce un momento di sintesi del pensiero, delle attese e del vivere. Anche nella costruzione di una chiesa, al di là delle funzioni strettamente liturgiche e funzionali, compaiono valori simbolici e metaforici, interpretazioni del grande passato e proiezioni future, nelle quali, nonostante le contraddizioni della vita di ogni giorno, il sapere “fare” artigiano e costruttivo si declina con la ricerca di una possibile nuova bellezza.
Il percorso progettuale non ammette compromessi o scorciatoie; è sorretto dall’idea della centralità dell’uomo per il quale si modella lo spazio: le sue aspirazioni, i suoi valori e le sue speranze. Allora, persino la costruzione di una piccola cappella sulle pendici di una valle discosta, può sorreggere un impegno totale, teso a offrire inedite emozioni.
Per l’architetto costruire conserva pur sempre un significato primordiale, integro e positivo. L’opera costruita risulta infinitamente più forte del solo progetto perché si arricchisce del lavoro, e della fatica di quel lavoro. In una società secolarizzata, apparentemente disattenta ai valori del sacro, quale ruolo può svolgere un’opera di architettura? La sua storia millenaria può ritornare a nutrire le nuove forme espressive? Questi sono alcuni degli interrogativi con i quali l’architetto si confronta quotidianamente.
A Mogno, la chiesa secentesca andata distrutta ha lasciato spazio a una testimonianza del nostro tempo, che ha attinto a piene mani dal passato come un amico. Dentro il percorso creativo ritorna con forza il territorio della memoria che, attraverso una storia millenaria , offre ancora spazi di riflessione e nuovi interrogativi. L’architettura porta nel suo grembo l’idea stessa del sacro poiché è chiamata a trasformare una condizione di natura in una condizione di cultura.
Mario Botta, Giugno 2016