Di Alessandro Suppressa
Le facciate del palazzo vescovile di Pistoia, prima del restauro risultavano in condizioni di elevato degrado con gravi rischi per l’incolumità pubblica. Erano evidenti le tracce di una serie di interventi, svolti prevalentemente nel secondo dopoguerra, non documentati e frutto di logiche operative improntate alla praticità. Queste opere avevano pesantemente mutato i connotati settecenteschi, ancora ben identificabili invece negli spazi interni del palazzo. La tinta che aveva opacizzato l’intero spartito, le ampie ricostruzioni di modellato eseguite in cemento oramai in fase di distacco avevano indebolito anche il retrostante labile supporto in pietra serena.
La scelta che ha guidato l’intero intervento è stata quella di rimuovere le tracce (comunque ampiamente documentate) di tale prassi e ristabilire una coerenza tecnico-materica di ogni sua parte in grado di recuperare la valenza espressiva dell’ampio apparato decorativo. È stata condotta, sulle poche parti originarie ancora leggibili, una accurata ricerca con saggi e prove di laboratorio dei valori cromatici in grado di sostenere anche sul piano metodologico la riproposizione di valori cromatici coerenti con l’impianto settecentesco. Con la sapiente opera delle maestranze, il palazzo è stato non solo valorizzato sotto il profilo storico-artistico ma anche restituito al circolo vitale del tessuto urbano, che lo aveva smarrito.
1. Note storiche
Il Vescovo Scipione de’ Ricci ritenendo “che il vecchio episcopio non era assolutamente riconducibile ad una comoda abitazione con gravissima spesa”, abbandonò l’idea di riadattare l’esistente, e portò avanti l’ipotesi di edificazione di un nuovo palazzo vescovile in un’altra area cittadina, “in vicinanza di questa fabbrica al nuovo Seminario e all’Accademia Ecclesiastica”, il che permetteva una più assidua presenza del Vescovo in quelle strutture. Nei primi mesi del 1786 i progetti dell’architetto Stefano Ciardi e nel 1787 iniziarono i lavori di costruzione.
L’edificio progettato dal Ciardi consisteva in un corpo di fabbrica di impianto rettangolare piuttosto compatto; al piano terreno, sull’asse dell’ingresso era predisposto un vasto atrio coperto a volte, dal quale si poteva accedere direttamente al retrostante giardino. Gli esterni si presentavano, pur nella semplicità di forme, con una certa grandiosità; sulla via di Porta Lucchese si elevava una facciata di due piani oltre il terreno, organizzata secondo gli assi di undici aperture riquadrate da cornici di lineare semplicità. La parte dominante risultava quella centrale, segnata dall’uso dell’ordine architettonico nel breve portico sormontato dalla terrazza che si estende a comprendere tre finestre del piano nobile, corrispondenti alla sala d’onore. Le finestre sono inquadrate da eleganti lesene in stile ionico che sopportano una trabeazione sobriamente aggettante sul piano della facciata. Il portico con terrazzo anteposto all’ingresso rappresenta un efficace espediente di distinguo del palazzo episcopale e introduce un elemento di novità nel panorama cittadino; l’avanzare del portico sul piano stradale inoltre rappresenta un collegamento, quantomeno visivo, tra il palazzo vescovile e il seminario sul lato opposto della strada, l’altra grande fabbrica voluta dal vescovo. L’intero prospetto è trattato ad intonaco(disegnato a bugnato regolare al piano terreno ed a lacunari nei piani superiori) come la maggior parte delle cornici.
2. Il degrado
La gran parte dell’apparato decorativo della facciata in pietra arenaria è interessata da vistosi fenomeni di disgregazione, polverizzazione e scagliatura, che hanno anche provocato la perdita di parti del modellato in particolare nelle cornici e specchiature delle finestre.
Anche ampie porzioni del bugnato posto in angolo della facciata -primo ordine- risultano mancanti e necessitano di un intervento ricostruttivo. Il processo di disgregazione oltre ad investire le parti lapidee, ha interessato anche le partiture ad intonaco. Ciò è causato principalmente dalle escursioni termiche e dal difettoso dilavamento dell’acqua piovana associati alla carenza di interventi di consolidamento, fenomeni che hanno provocato il distacco e la progressiva polverizzazione.
A causa di ampi distacchi di intonaci porzioni della facciata sono al vivo della muratura.
La loggia posta a copertura dell’ingresso su via Puccini necessitava di una nuova revisione per quanto riguarda il dilavamento dell’acqua dal piano della terrazza e lo stato conservativo delle parti decorative. Numerosi balaustrini risultavano segnati da profonde lesioni e in generale l’intera balaustra presentava perdite di modellato e mancanza di sigillatura dei giunti. Alterazioni cromatiche erano presenti sulla quasi totalità della superficie a causa dell’umidità e del difettoso dilavamento.
Il modellato del sottogronda in alcuni tratti è andato perduto a causa di distacchi e ampie alterazioni sono visibili per l’azione di infiltrazioni provenienti dalla copertura (tratto dalla gronda al rialzamento delle soffitte) a causa della mancanza di impermeabilizzazione. Particolarmente degradato risultava il sottogronda sul lato ovest.
3. Gli interventi di restauro e consolidamento
RESTAURO DEGLI ELEMENTI LAPIDEI
Il fronte principale, già in fase di prime valutazioni, presentava numerose parti di modellato in pietra serena decoese ed ammalorate. In fase di cantiere, potendo saggiare puntualmente ogni parte, è emersa una situazione ben più grave, dovuta alle ampie parti ricostruite nel corso del novecento con malta a base cementizia. Queste parti hanno veicolato sulla parte retrostante in pietra, tramite le numerose cavità di vecchie spillature, oltre che i sali umidità che hanno ancor più indebolito la superficie lapidea.
Tale situazione avrebbe restituito degli elementi architettonici quasi completamente privi di modellato tali da non garantire la sicurezza in merito a distacchi e fenomeni di ulteriore decoesione ma soprattutto la lettura di uno spartito architettonico nella sua interezza. Sulla base di quanto ancora visibile e delle cornici totalmente integre in quanto protette dal portico della loggia è stata intrapresa una di una consistente ricostruzione. Per consentire tale operazione sono stati eseguiti accurati rilievi delle parti ancora integre, predisposti una serie di modine e un’armatura con barre e rete in grado di supportare la stesura di malta necessaria per ricostruire le parti mancanti.
LOGGIATO
Particolare attenzione è stata rivolta alla loggia presente sul fronte nord con le profonde spaccature presenti in molti degli elementi (balaustrini, davanzali, cornicioni); già in fase di progetto è stata eseguita un mappatura dello stato di degrado dei colonnini (alcuni già ricostruiti in cemento) con la scelta di sostituire quelli gravemente lesionati. Si è proceduto alla esecuzione di un calco in vetro resina e con la formazione di nuovi colonnini con armatura interna in barre di acciaio inox. Per le parti ancora recuperabili è stato applicato l’intero ciclo restaurativo della pietra con l’integrazione di modellato nelle lacune più evidenti al fine di garantire la tenuta materica di ogni singolo elemento.
INTONACI
Le parti a intonaco ancora rimaste presentavano anch’esse scarsa coesione con la muratura e quindi sono state rimosse e con la successiva stesura di nuovo intonaco a malta a base di calce. Allo strato di intonaco non è stato applicato il velo finale al fine di predisporre una superficie non eccessivamente uniforme. Le parti a finto bozzato della parte basamentale e delle lesene, sono state opportunamente integrate con finiture superficiali similari all’esistente. L’unica porzione di intonaci ancora integra e in buono stato è stata quella del finto bozzato della loggia.
COLORE
Lo stato molto degradato dell’intonaco non ha permesso di leggere le stratigrafie delle cromie originarie e le successive stesure. Le uniche parti che hanno fornito indicazioni, confermate dalle analisi di laboratorio del Prof Spampinato, sono state quelle del sottogronda e le parti protette, sul lato ovest, dalle soffitte e sottotetti che non sono state oggetto di sostanziali interventi.
È stata eseguita un’ampia campagna di saggi e prove di laboratori che hanno supportato la scelta di riproporre un tonalità cromatica di verde settecentesco coerente con quanto perfettamente riscontrabile nelle parti interne del palazzo. In particolare l’analisi compiuta sul fronte ovest ha evidenziato un intonaco di tipo tradizionale, ricoperto da residuo di coloritura verde alla calce, molto probabilmente originaria con l’intonaco stesso.
Questo residuo è ricoperto da interventi di epoca più recente sotto forma di sottile stesura di boiacca cementizia e da una successiva stesura di colore verde, il cui pigmento caratterizzante (verde di cromo) la riferisce ad un intervento di epoca coeva o posteriore alla prima metà ottocento. La presenza della boiacca cementizia lascia supporre come più probabile un intervento non anteriore al secolo scorso (da Analisi petrografiche su campioni di intonaci e coloriture prelevati dalle facciate del Palazzo Vescovile – Analisi di laboratorio materiali lapidei e pittorici dr.Marcello Spampinato)