di Michela Beatrice Ferri

Lei è stato indicato da Gaetano Vallini come il “Cantore di una civiltà ormai scomparsa” (L’Osservatore Romano 11 Gennaio 2017) con riferimento al volume “Terra Amata”, curato da Giovanni Gazzaneo. Qual è il suo legame con la sua terra d’origine?

Come sa provengo dalla Bassa Bergamasca, come lei d.ssa Ferri.

Pepi Merisio
Pepi Merisio

Sono nato a Caravaggio e il legame con la mia terra (da qui l’espressione “terra amata”) ha caratterizzato e ha, di conseguenza, influenzato, tutta la mia poetica fotografica, il mio “fare arte” attraverso la fotografia. Si tratta di un legame profondo, intenso, cresciuto con me.

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“Carnevale sul Lago d’Endine, Girotondo”

Io sono cresciuta guardando i suoi volumi. È noto che nel 1969, in occasione del centenario dell’allora Banca Popolare di Bergamo, lei pubblica la sua prima opera fotografica “Terra di Bergamo”. Da quel momento seguono più di cento libri fotografici. Sempre attenti alla terra e alla gente di cui restituisce il senso più semplice e vero dell’esistenza…

Ho sempre cercato di fissare nell’immagine fotografica la semplicità di quella macchina complessa chiamata “uomo”. L’umiltà della gente della Bassa Bergamasca a contatto con la quale sono cresciuto, ha costituito per me un fondamentale insegnamento di vita. Rappresento l’uomo nei suoi attimi di vita quotidiana, che comprendono anche, ma non solo, le feste religiose, il lavoro, il ritrovo. In quella semplicità che offre una soluzione alla complessità interiore: questo è quel che ho sempre voluto rappresentare. L’uomo nella sua umiltà e nella sua umanità.

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Lei oggi è uno dei più noti e apprezzati fotografi italiani. Verso la metà degli Cinquanta avvia le sue collaborazioni col Touring Club Italiano e con tante riviste. Con Epoca, allora il più importante rotocalco italiano, nel 1964 pubblica il reportage “Una giornata col Papa”, dedicato a Paolo VI. E tra voi nacque un legame di amicizia: si è fondato anche sulla riflessione sulla dimensione umana?

Posso dire di sì, e il dialogo con Paolo VI è tema che mi sta molto a cuore. Il nostro rapporto cominciò tra il 1963 e il 1964 – e del 1964 è il mio primo libro dedicato allo scultore Floriano Bodini, che fu comune amico. Il messaggio di Papa Paolo VI è rivolto alla dimensione umana: in lui abbiamo visto il Santo Padre che si rivolge alla complessità della società negli anni Sessanta, e poi Settanta, ai drammi che si vivono nel boom economico, con tutte le sue contraddizioni. ded7dd6df4b57e5d46522f24bf418586 È un Papa che affronta cambiamenti storici radicali. L’attenzione di Papa Paolo VI alla dimensione umana mi sempre ha colpito. Non dimentichiamo che è stato a capo della Chiesa cattolica in un’epoca di transizione, per molti aspetti assai delicata. Guardando indietro, ritrovo la sua grandezza: la grandezza di un Pontefice che fu lui stesso uomo umile e raffinato al contempo.

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Come intende il “senso religioso”? Riprendo questa espressione dalla lettera pastorale di Giovanni Battista Montini per la Quaresima del 1957, quando era vescovo a Milano, prima di divenire Papa Paolo VI…

Paolo VI fu un uomo straordinario, che tuttora la storia fatica a comprendere nel suo essere stato pioniere, anticipatore. Una figura straordinaria. Aggiungo – dato che lei si occupa di “Sacro Contemporaneo” – il legame con la mia terra è anche dato dal senso religioso, dalla spiritualità trasmessa da una fede forte, che va al di là della tradizione. Nella mia poetica fotografica ho voluto restituire quel “senso religioso” che ho visto nella gente semplice, e che ho trovato anche nell’umiltà di Papa Paolo Vi. Continuo a portarlo con me, nella mia esistenza.

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