Di Stefano Mavilio

È stato sollevato il problema se sia “migliore” (più bella? più agevole? la definizione è mia) un’aula liturgica con le sedute, o libera da queste (cfr “Chiesa in cammino o chiesa seduta?” https://www.jerusalem-lospazioltre.it/chiesa-cammino-chiesa-seduta/ ). Devo ammettere che l’argomento è assai difficile, perché le questioni in gioco sono molte e assai diverse: da quelle canoniche — dalle quali partirei certamente — a quelle liturgiche; dall’architettura all’arredo; dalla prossemica al comfort e via dicendo.

Iniziando da quelle canoniche. Se è vero che la chiesa postconciliare nulla impone – è il caso dell’architettura – quanto piuttosto suggerisce, è pur vero che sta scritto: I fedeli stiano in piedi dall’inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si reca all’altare, fino alla conclusione dell’orazione di inizio (o colletta), durante il canto dell’ Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante la professione di fede e la preghiera universale (o preghiera dei fedeli); e ancora dall’ invito Pregate fratelli prima dell’ orazione sulle offerte fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito.

Stiano invece seduti durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale; all’omelia e durante la preparazione dei doni all’offertorio; se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la Comunione.

S’inginocchino poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano lo stato di salute, la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri ragionevoli motivi. Quelli che non si inginocchiano alla consacrazione, facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione. (IGMR, 43)

E ancora:

Si curi in modo particolare la collocazione dei posti dei fedeli, perché possano debitamente partecipare, con lo sguardo e con lo spirito, alle sacre celebrazioni. È bene mettere a loro disposizione banchi e sedie. Si deve però riprovare l’uso di riservare dei posti a persone private. Le sedie o i banchi si dispongano in modo che i fedeli possano assumere comodamente i diversi atteggiamenti del corpo richiesti dalle diverse parti della celebrazione, e recarsi senza difficoltà a ricevere la santa comunione. Si abbia cura che i fedeli possano non soltanto vedere, ma anche, con i mezzi tecnici moderni, ascoltare comodamente sia il sacerdote sia gli altri ministri. (PNMR, VIII, 273. Cfr anche: Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 32; Cfr infine: sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 98: A.A.S. 56 (1964) p. 899).

La qual cosa, come anticipato, non significa che chi dovesse contraddire ne rimedierebbe una reprimenda, o uno scapaccione, quanto piuttosto che – affinché l’Assemblea, “respiri del medesimo respiro”, nei termini della compostezza liturgica – sarebbe meglio che così si facesse. Salvo le dovute eccezioni. Le vecchine stiano sedute a loro piacimento e chi avesse problemi muscolari, non si inginocchi con troppo zelo.

Altro discorso la questione liturgica, che da sempre vive della dialettica fra la processio e la statio, e quindi di vie processionali e luoghi per la sosta; oppure – per dirla con don Busani – dei tre movimenti fondamentali: processione iniziale in forma assiale, offertorio in forma di danza circolare, liturgia eucaristica in forma di “venirsi incontro”. E qui, più che la liturgia ortodossa, penso a quella cristiana delle origini ed alla chiesa di San Clemente a Roma, dove ogni luogo liturgico era commisurato alla bisogna. Ci torneremo.

Roma, basilica di San Clemente.

Dalla liturgia alla tipologia il passo è breve. Più che indagare qui ora, se il tipo post-conciliare per eccellenza sia la chiesa quadrata, piuttosto che quella basilicale, mi soffermerei sulla questione dei poli liturgici, che contribuiscono in maniera sostanziale alla definizione del tipo ecclesiale e che troppo spesso sono delegati a un ruolo defilato, realizzati perlopiù da artigiani che poco o nulla sanno di quella chiesa.

In sintesi: si propone un ribaltamento del punto di vista abituale del progettista. Anziché progettare chiese contenitori, tutte uguali, da “riempire” con arredi più o meno brutti, sarebbe forse il caso, come suggeriva Valenziano, di ripartire dall’altare. Polo liturgico maggiore, necessita di spazio. Qui sono pienamente d’accordo con quanto scritto in “Chiesa in cammino o chiesa seduta?”. Si liberi lo spazio antistante l’altare dalle prime file di panche, perché l’altare sia punto focale; si sposti decisamente il secondo polo maggiore, l’ambone, e lo si porti in navata, corta o lunga che sia, alla maniera dei vecchi pulpiti, senza esserlo. Ancora una volta, porto ad esempio San Clemente dove gli amboni erano incorporati nella schola e tutti e due erano nel corpo vivo dello spazio assembleare. Si chiariscano definitivamente i diversi ruoli delle due mense, altare ed ambone, e a ciascuna si assegni il suo spazio. Tornerebbero a farsi vedere, ad esempio, i pavimenti, drammaticamente scomparsi dall’immaginario ecclesiale, vuoi perché costosi (come se il bello potesse essere confinato al “parco”; vuoi perché non dovendo più definire alcunché, sono passati semplicemente in secondo piano) e tornerebbe a realizzarsi un “nobile sponsale” fra vie ed illuminazione, anch’essa relegata a puro fatto tecnico, senza alcuna pretesa di bellezza.

In tal modo, semplicemente ripensando la posizione ed il ruolo – pur chiaro – dei poli liturgici, potremmo ottenere quella “chiarificazione dei luoghi” (ancora la definizione è mia), che tornerebbe a far trionfare il punto di vista dell’architettura non a discapito dell’Assemblea.

Neviges (Germania) Gottfried Boehm, chiesa di “Maria Königin des Friedens”.

In conclusione: il giusto numero di panche (o di sedie) perché l’Assemblea possa celebrare di concerto coi Ministri e le vecchine sedere senza tema di soffrire; le giuste superfici di spazio libero per l’azione liturgica (che non è solo seduta in piedi e in ginocchio); e il giusto spazio alle proporzioni, per dirla con il vecchio Padre Corbù (Le Corbusier – ndr).

Le Corbusier, Cappella di Notre Dame du Haut, Ronchamp (Francia, 1950-55).

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