Nel mondo che vive di quel che di solito si chiama comunicazione, si tende a dimenticare il luogo che per eccellenza incorpora l’atto del comunicare: la chiesa. Ma pare molto diffusa la nostalgia verso questa, e lo si nota nelle stucchevolmente ripetute critiche avverso le chiese contemporanee. Tanto che sorge il sospetto che l’ammirazione per quelle passate sia riservata solo al loro aspetto monumentale e non al fatto che sono luoghi nati per ospitare e, in un certo senso, rivestire, comunità celebranti.

Perché il fatto è che le chiese son bensì divenute scrigno di opere magnifiche, ma lo sono proprio a seguito dell’afflato di chi alla loro bellezza ha concorso con convinta dedicazione, perché le vedeva come testimonianza viva, non come repositorio di memorie passate. Qual è la testimonianza viva dei nostri giorni, da imprimersi in muri e tetti, in aule e spazi? Il dibattito è acceso da decenni.

Nel corso degli ultimi quindici anni presso il monastero di Bose è stato affrontato in modo sistematico, attraverso convegni liturgici internazionali svolti con la partecipazione di esperti provenienti da diversi campi del sapere. Si sono focalizzati sull’altare e via via sugli altri poli liturgici, sulle progettazioni delle chiese nel loro complesso e sul loro rapporto con l’arte e con la città; e gli Atti che ne sono scaturiti son giunti a comporre un tracciato strutturato, analitico e comparativo del modo in cui le arti e i saperi oggi sanno contribuire al modo in cui le Chiese si manifestano attraverso le loro architetture nei vari Paesi soprattutto europei.

Nel 2016 il Comitato Scientifico che prepara i Convegni Liturgici Internazionali di Bose, del quale tra gli altri fanno parte Enzo Bianchi (fondatore e già Priore di Bose), don Valerio Pennasso (direttore dell’Ufficio nazionale beni culturali e edilizia di culto della Conferenza Episcopale Italiana), Emanuele Borsotti (monaco di Bose), Goffredo Boselli (liturgista e monaco di Bose), Andrea Longhi (storico dell’architettura, Politecnico di Torino), ha ritenuto di aver completato un primo ciclo, avendo costituito un raccolto rappresentativo, seppure non esaustivo, dell’esistente.

Nel 2017 il Comitato Scientifico ha sentito la necessità di compiere un passo ulteriore, e ha proposto che giovani (massimo trentacinquenni) operanti in ambiti che confluiscono nella cultura dell’arte e dell’architettura per le chiese, venissero coinvolti nell’impegno per definire nuove vie di attivo e fattivo dialogo tra le arti e le chiese. Come volano, volto ad affiancare e dinamizzare la ricerca dei Convegni Liturgici Internazionali.

Così, insieme con i preparativi per il XV Convegno liturgico dei primi giorni di giugno 2017, sono stati selezionati 23 giovani tra le decine che si sono candidati per offrirsi quali collaboratori in questa ricerca.

Ed ecco dunque aprirsi un Laboratorio: un luogo di studio che dibatte antiche tematiche con occhi nuovi, occhi di persone nate quando il Concilio Vaticano II era ormai entrato nei libri di storia, col coordinamento di Elia Fiore, monaco di Bose e storico dell’arte.

Tale Laboratorio ha mosso i suoi primi passi nei giorni dal 23 al 25 febbraio, presso il monastero di Bose.

Nell’aprirne i lavori, Enzo Bianchi ha ricordato il percorso compiuto con i Convegni Liturgici Internazionali, a partire dal 2003. Essi, ha spiegato, sono figli di una domanda: “Che cos’è una chiesa?”. E ha elaborato sul concetto filologicamente inteso: ekklesìa, assemblea, comunità. Ma fondata sull’esser chiamati: in chiesa ci si raccoglie perché si risponde a un appello. Si è chiamati e tali bisogna sentirsi. Ad ascoltare la Parola, a dialogare con essa in una dinamica di comunione. “Se si compie l’evento comunitario, il luogo è chiesa. Altrimenti è tempio”.

E, checché se ne dica, vi sono molte chiese dei nostri giorni che nei loro muri recano impressi segni di bellezza. Enzo Bianchi ha annunciato la pubblicazione di un libro di Frédérik Debuyst che approfondisce quanto esprimono le architetture di diverse chiese contemporanee, che sono capolavori al pari delle migliori opere del passato.

Goffredo Boselli ha ricordato la nascita dei Convegni internazionali liturgici, promossa da mons. Giancarlo Santi, all’epoca responsabile dell’Ufficio nazionale beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana, allo scopo di raccogliere una ragionata e selezionata documentazione sullo spazio per la liturgia. Da qui che i Convegni abbiano sistematicamente esaminato, anno per anno i luoghi rilevanti per la liturgia a partire dall’altare, dall’ambone, dal battistero per diffondersi sull’ambiente per l’assemblea. “Gli elementi che compongono lo spazio della chiesa agiscono sulle persone” ha ricordato Boselli. E l’assemblea non è “liquida”, ma attiva partecipante, responsabile di comporre il volto della chiesa.

Ecco dunque che anche nei Convegni liturgici si richiede identica partecipazione attiva, che possa giungere a formulare coralmente l’identità della chiesa post conciliare.

Don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e per l’edilizia di culto della CEI ha ricordato il percorso compiuto negli anni passati con i Progetti pilota, che hanno promosso il sistema del concorso per attivare committenze. “Ci si è resi conto di quanto rilevante sia che il progetto della chiesa si fondi sulla partecipazione della comunità. Bisogna partire non dal costruire, ma dallo stare insieme, dal reciproco ascolto”. Ricordando il n 185 della “Laudato si’” (“In ogni discussione riguardante un’iniziativa imprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande, per poter discernere se porterà ad un vero sviluppo integrale: Per quale scopo? Per quale motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi? A quale costo? …”), don Pennasso ha sottolineato che mettersi a disegnare un’architettura è l’ultimo dei problemi: prima occorre rispondere a tutte quelle domande, a partire da “che cosa vuol dire una chiesa?”.

Così, nell’incontro della fine di febbraio 2017 si è aperto un discorso nuovo.

Il tema “architettura delle chiese” è stato inteso come verbo da coniugarsi nel trittico “Abitare, celebrare, trasformare”: su questi concetti si sono articolati tre gruppi di studio nel cui ambito il dialogo s’è inoltrato in diverse tematiche.

Tra queste, il problema dei “confini”, che dice dell’identità della chiesa nel contesto urbano dei nostri giorni. I centri parrocchiali sono unità articolate in cui si incontrano ragazzi provenienti da culture e religioni diverse: gli spazi per il gioco e i locali per la catechesi son dunque da intendersi come quelli che si incontrano negli impianti sportivi e nelle aule scolastiche o hanno qualcosa che li distingue e li rende eloquenti, prodromici e correlativi al luogo per il culto? La domanda è stata porta da Andrea Longhi, ed è espressiva di come l’architettura, organizzando percorsi e segnando soglie, possa attivare un dialogo fattivo con chi l’attraversa e in essa può incontrare il senso dell’accoglienza che parla un linguaggio universale, e tradurlo in segni che introducono al messaggio cristiano.

Il filosofo Stefano Biancu ha evidenziato come per l’essere umano primario sia il senso dell’abitare, che comporta un rapporto attivo con l’ambiente: “si abita nel momento in cui si trasforma uno spazio in un luogo”.

Ma il tema della trasformazione è praticabile in due sensi: gli spazi per il culto infatti hanno la capacità di favorire una trasformazione delle persone che li avvicinano, e a loro volta sono passibili di trasformazioni, in relazione alle sensibilità e alle necessità del momento. Al riguardo Luigi Bartolomei ha ricordato come l’azione artigianale sia rilevante per recuperare nel gesto del costruire la proiezione di lungo periodo che l’affanno del “ready made” ha teso a far scomparire.

Qual è dunque il dialogo che si attiva tra i muri della chiesa e le celebrazioni che vi si svolgono? Una prima riflessione ha evidenziato la difficoltà nel definire confini identitari e tracciati univoci, in un ambiente che per sua natura ha i caratteri dell’apertura e dell’accoglienza universale: varcata la soglia, la persona è chiamata a esser nella libertà riservatale dal suo statuto di figlio, nella condizione di eguale dignità coi fratelli.

Ventitré sono i giovani, progettisti, artisti, pensatori che si sono impegnati a riflettere sulle tante domande che sorgono circa lo spazio della chiesa. Non è una riflessione nuova, ma nuovo è l’impegno comunitario che, cominciato a fine febbraio, continuerà nel tempo, nella trama di scambi e secondo una “road map” che avrà una tappa rilevante nel Convegno Liturgico Internazionale del giugno 20017, ma proseguirà oltre questo.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here