Dal 19 al 28 ottobre 2018 si è svolta a Grosseto la terza edizione della Settimana della Bellezza, quest’anno dedicata al tema Il tuo volto io cerco. Promossa da Diocesi di Grosseto e Fondazione Crocevia in collaborazione con “Avvenire”, “Luoghi dell’Infinito”, Fondazione Polo Universitario Grossetano, Fondazione Grosseto Cultura con Clarisse Arte, Museo archeologico e d’arte sacra della Maremma, e con la co-organizzazione del Comune di Grosseto.
Il programma è stato ricco di incontri, eventi, musica e mostre, con partecipazione di numerosi ospiti: il cardinale Luis Antonio Tagle arcivescovo di Manila (Filippine) e presidente di Caritas Internationalis, il vescovo di Grosseto Rodolfo Cetoloni, il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio e i giornalisti Saverio Gaeta e Umberto Folena, il poeta Davide Rondoni, la storica dell’arte suor Gloria Riva, Antonia Salzano, madre del venerabile Carlo Acutis, l’architetto Edoardo Milesi, i docenti Eduardo López-Tello García, Roberto Tagliaferri e Alessandra Viviani, il monaco della Comunità di Siloe Roberto Lanzi, gli artisti Omar Galliani, Aurelio Amendola, Piero Vignozzi, il regista Fabio Sonzogni, l’attore Giacomo Poretti, il conduttore televisivo Max Laudadio – intervenuto anche in veste di artista –, il cantautore Giovanni Caccamo, don Roberto Nelli responsabile diocesano Ufficio pastorale della Cultura.
Per l’occasione, la Fondazione Crocevia ha ideato e promosso tre mostre: “Omar Galliani.
Teofanie” presso Clarisse Arte, e “Aurelio Amendola. Sguardi”, nel Museo Archeologico e d’Arte della Maremma e Museo Diocesano, che restano aperte fino al 7 dicembre; “Piero Vignozzi. Canto a Maria”, nella cappella della Madonna delle Grazie, in Cattedrale, fino al 18 novembre. Le mostre sono corredate da tre cataloghi, editi da Crocevia e curati da Giovanni Gazzaneo, tra cui un’importante monografia dedicata a Omar Galliani (coedizione Crocevia – Corsiero editore).
Inoltre, in Episcopio, sempre fino al 18 novembre si può visitare la mostra fotografica di Max Laudadio “Quattr’occhi sul mondo”.
Anche quest’anno, come nelle precedenti edizioni, i giovani e gli studenti delle scuole di Grosseto sono stati, in vari modi, i protagonisti della Settimana: molti sono gli incontri e gli eventi loro dedicati, ma molti anche gli ambiti in cui sono stati direttamente coinvolti, grazie ai progetti di alternanza scuola-lavoro. Sono loro, infatti, che hanno presentato e fatto da guida alle mostre, e hanno documentato con foto, testi e video tutte le iniziative in programma.
Aurelio Amendola. Sguardi
Grosseto, Museo Archeologico e d’Arte della Maremma e Museo Diocesano.
21 ottobre – 7 dicembre 2018
Quindici fotografie di grande formato per entrare negli sguardi dei grandi capolavori di Michelangelo, Canova e Wildt.

La mostra “Aurelio Amendola. Sguardi” è appositamente ideata e realizzata per la Settimana della Bellezza 2018, al Museo archeologico e al Museo Diocesano di Grosseto. L’idea nasce dal “cortocircuito” che si crea tra il fotografo che guarda e lo sguardo dell’opera che ritrae.
Sessant’anni son passati da quando Amendola scattò le prime foto alle opere di Giovanni Pisano, quanto basta per affermare che scultura fotografata e Aurelio Amendola sono sinonimi: ha saputo fare della fotografia d’arte l’arte della fotografia. A Pistoia, la sua città natale, per i tanti che lo conoscono è semplicemente il “maestro”. Ma Amendola, col suo sorriso aperto e la battuta sempre pronta, non ama essere additato artista, nonostante sia stato il primo fotografo vivente a cui l’Ermitage di San Pietroburgo abbia dedicato una mostra. “Il punto di partenza e il punto di arrivo del mio lavoro è la scultura. E i volti, i corpi di marmo o di bronzo sono per me persone viventi”.
Scrive Giovanni Gazzaneo nel testo in catalogo: “Le foto di Amendola raccontano non solo l’arte, ma anche l’empatia, la vicinanza che ha coltivato con i tanti maestri conosciuti. Questo gli ha permesso di mostrarci il lato umano dell’opera, il creatore e la creatura insieme, nella continua ricerca dell’incipit e della forza generativa del linguaggio. Ci ha offerto prospettive nuove anche di lavori così famosi che nella ripetitività della riproduzione hanno finito per diventare stanchi simulacri dell’originale, incapaci di offrirci la straordinarietà (direi eroicità) e la forza di novità che ogni capolavoro, del passato e del presente, custodisce come tesoro geloso. Parte dalla realtà per restituirci la realtà, nella scultura come nel ritratto”.
Le opere presentate al Museo Archeologico e al Museo Diocesano di Grosseto sono legate dal tema dello sguardo. Gli scatti della Pietà di San Pietro, quei particolari che ci aiutano ad accostare i volti di Cristo e di sua Madre, più giovane del figlio. Michelangelo ha scolpito nel marmo i versi di Dante e ne ha fatto un canto di luce: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio”. E poi eccoci di fronte all’eroicità del David: eroicità che Buonarroti non ha espresso tanto nel trasformare il ragazzo d’Israele in un gigante di marmo di oltre cinque metri, ma rivelandola in quello sguardo fermo, di fiducia totale in Colui che l’ha chiamato per salvare e guidare il suo popolo.

Ci colpisce la dolcezza infinita che Canova ha saputo imprimere in quel semicerchio di grazia e di dolore che è la Maddalena penitente. Infine Wildt, maestro nel trasporre emozioni e sentimenti nei suoi volti, che rendono luminosa carne la dura pietra.

Dice Amendola: “Non puoi arrivare alla cosa in sé, alla reale natura del soggetto, strappando via la superficie. La superficie è tutto quello che hai. Puoi andare al di là della superficie lavorando con la superficie. Tutto quello che puoi fare è manipolare quella superficie – la gestualità, l’abbigliamento, l’espressione – radicalmente e correttamente”.
Omar Galliani. Teofanie
Grosseto, Clarisse Arte. 21 ottobre – 7 dicembre 2018
Una ventina di opere, dipinti e disegni, anche di grandi dimensioni, per l’antologica di Omar Galliani
Scrive Omar Galliani: “Le mie Teofanie alloggiano ovunque, sui volti eterei o sognanti di angeli sospesi tra terra e cielo in attesa di essere riconosciuti, o sui volti non meno velati, distanti o vicini del Salvatore. Volti tolti dall’oblio del presente e restituiti nell’idealità del trascendente. Anche l’opera disegnata, scolpita, fotografata o dipinta è nel suo manifestarsi “teofania” in quanto manifestazione del sublime. Sublimazione della materia incongrua che prende corpo, forma… anima mundi”.

I volti di Galliani sono abitati dal mistero. Nel nome dell’assoluto le misure delle sue opere diventano smisurate: i volti sono i più grandi mai realizzati. Un processo che Galliani trae dalla tecnica fotografica e fa proprio perché la percezione possa andare oltre la visione retinica del nostro occhio ma anche di qualsiasi obiettivo, meccanico o digitalizzato che sia. Solo uno sguardo che non conosce limiti è capace di cogliere l’umano. Da qui la vocazione a un disegno infinito, o, come dice lui, “infinitissimo”. “Con Galliani – scrive Giovanni Gazzaneo, curatore della mostra – la bellezza riacquista spessore e dignità perché sa coniugare l’uomo di oggi e l’uomo di sempre. La vera svolta è nel tentativo, riuscito, di una poetica dell’unità, che sembrava irrimediabilmente perduta. Nel volto incarna lo spirito e spiritualizza la carne. Perché l’eterno abita il cielo e ciascuno di noi: è l’orizzonte dove estetica ed estasi coincidono, e la donna non è più la costola di Adamo, è Madre dei viventi, principio e vertice della nuova Creazione, bellezza assoluta. Così la bellezza sa inabissarsi nel profondo, abita le radici del nostro stesso essere: è l’immagine divina di cui siamo fatti. E le figure di Galliani sospese tra cielo e terra ci ricordano quel che siamo noi, riflettono, come in uno specchio, il nostro essere più intimo e vero. C’è chi ha sottolineato la sensualità dei corpi modellati da Galliani, una sensualità che non ha nulla di ostentato, e tantomeno di volgare.

Ha piuttosto la grazia di un corpo innamorato, come sono corpi innamorati i giovani del Cantico dei Cantici, totalmente presi nella danza della ricerca l’uno dell’altra. Quel che proviamo è lo stupore di una bellezza donata. Una bellezza che non ti aspetti e che ti sorprende. Prima non c’era. O forse si annunciava come sogno. Di più: come speranza.

Eccola che si fa volto, cuore, paesaggio. Avevamo fame e sete della bellezza che Omar Galliani ha saputo generare quando l’arte sembrava non volerne più sapere di lei: non la cercava, non la desiderava, anzi la ripudiava come qualcosa di irrimediabilmente passato, che solo la storia poteva custodire”.
Max Laudadio. Quattr’occhi sul mondo
Grosseto, Episcopio. 21 ottobre – 18 novembre 2018
Una mostra fotografica dell’inviato di “Striscia”.
Il racconto fotografico di Max è iniziato circa una decina di anni fa durante un safari in Botswana quando immortalò, con un paio di occhiali posti davanti all’obiettivo, un battello in movimento su un fiume.
Da quel momento gli occhiali sono diventati compagni di viaggio indispensabili, sempre diversi per cromaticità delle lenti, per forma, per colore con l’obiettivo di ricercare Visioni sempre più dettagliate.

Africa, America, Europa… un mondo pop, colorato quasi psichedelico.
“Ha voluto vedere il Mondo, non solo con gli occhi e l’obiettivo, attraverso una lente non metaforica, ma reale. La lente degli occhiali: colorata, che può ingrandire o allontanare, filtrare e deformare – così afferma Vittorio Sgarbi riguardo alle foto di Max –. Trasfigurare e rendere più nitido ciò che lo sguardo vede. Laudadio infatti fotografa paesaggi, monumenti, persone, oggetti, ponendo davanti all’obiettivo un paio di occhiali e riuscendo così a dare più visioni differenti di ciò che ha di fronte. Il risultato è un tripudio di emozioni che l’autore condivide con l’osservatore, stimolando la fantasia e l’immaginazione.”

Quattr’occhi sul Mondo è il frutto di un viaggio che è la vita, di momenti che hanno catturato l’attenzione di Max Laudadio, emozioni, sguardi su città lontane, un tramonto, una montagna che diventa un titano, qualcosa di così sorprendente che quando non lo catturi diventa polvere e in seguito vento. Se l’occhiale può essere segno di handicap, il correggere un difetto, quello della vista, oppure un accessorio che ci serve per proteggere gli occhi dal sole, le foto di Max Laudadio lo sublimano a parte integrante del nostro occhio.

Scrive Andrea Lanza: “Ecco allora che un occhiale diventa il nostro terzo o quarto occhio, trasforma la nostra visione in qualcosa di diverso, è l’iperbole che fa risaltare un sole o un gruppo di gru, ma basta cambiare tonalità e le stesse gru ora accendono in noi altre sensazioni. Gli occhiali di Quattr’occhi sul Mondo sono colorati, sono riflessi di riflessi, sono un modo diverso di approcciarsi alla realtà, sono una porta in una dimensione dove la vista si espande e diventa poesia surrealista. In Quattr’occhi sul Mondo gli elementi base della nostra esistenza sono i principi cardine di un viaggio che porta in sé il calore della terra, il fresco del vento, la potenza del fuoco e la pace dell’acqua. Acqua, terra, aria, fuoco, calore, freschezza, potenza, pace, ma mischiando le carte il vento può essere forte e il fuoco pace, basta cambiare occhiale”.
Piero Vignozzi. Canto a Maria
Grosseto, Cattedrale, Cappella della Madonna delle Grazie. 21 ottobre – 18 novembre 2018
La Madonna delle Grazie di Matteo di Giovanni e La Madonna delle ciliegie del Sassetta, capolavori dell’arte sacra della diocesi di Grosseto, ispirano i d’après di Piero Vignozzi.
Pittore fiorentino dalle ottantaquattro primavere, Vignozzi non si sente degno di affrontare il sacro nell’arte se non guardando ai grandi maestri, da Giotto a Caravaggio. E questo nonostante le personali di Palazzo Vecchio a Firenze e Palazzo dei Diamanti a Ferrara, la Quadriennale di Roma e la Biennale di Venezia…

I d’après, le opere ispirate dai grandi del passato, nascono già agli albori del suo cammino artistico, quando torna dal servizio militare. «Dopo una lunga pausa dalla pittura, per riprendere la mano sentivo il bisogno di confrontarmi con i maestri. Il mio percorso nell’arte religiosa in compagnia dei grandi è cominciato invece negli anni Ottanta. Io sento i grandi maestri come amici e mi sembra di entrare in bottega da loro come semplice garzone, a volte come aiuto. Riconosco la loro grandezza, spesso la forza della fede che traspare dalla bellezza che hanno saputo creare. Contemplo e mi lascio ispirare. Nei loro confronti ho un forte senso di gratitudine. Non posso mettermi a pari con loro. Semplicemente, anche da vecchio qual sono, cerco di essere un bravo studente e non mi stanco di andare a scuola».

Una scuola che per gli artisti si gioca tutta sullo sguardo e un po’ su quel “rubare” di cui scrive nei suoi versi dedicati alla Madonna delle ciliegie Davide Rondoni: «come tutto ho rubato / con questi occhi i cieli gli ori le pianure». Un aprirsi totale alla realtà, lasciarsi toccare e ferire, in una gratitudine infinita per il Creato e per il passato, un cogliere che è insieme accogliere e offrire a chi ci è prossimo e a chi, dopo di noi, verrà. «Si impara guardando. È questo che bisogna fare, guardare. La vita ti passa davanti e tu la guardi, ecco tutto». Così l’arte è maestra e ispiratrice in un dialogo di sguardi che ci fa toccare e sentire la bellezza e la profondità della vita. E la profondità che cerca Vignozzi è quella dell’essenziale. Anche nel confronto con la Madonna delle Grazie di Matteo di Giovanni e La Madonna delle ciliegie del Sassetta, Vignozzi afferma che la sua è una “tecnica per levare”, ribaltando l’assunto michelangiolesco che assegnava alla pittura la via del “porre”.

Scrive Claudio Pizzorusso: «Vignozzi “scolpisce” togliendo il “superchio”, quell’eccesso di materia che “circoscrive il concetto”, l’idea nascosta e in potenza. Ma quell’idea, per l’artista rinascimentale, quando viene alla luce si esplicita compiuta nella sua bellezza; oppure resta imbozzolata in un non-finito che dichiara l’impotenza a toccar la perfezione. Vignozzi, procedendo da un’immagine definita – per mano propria o, come nei d’après, per mano altrui –, la fa arretrare a un suo stato embrionale, entro i suoi primordiali incerti confini. Non un non-finito dunque, quanto un post-finito». Il suo creare artistico mira alla sorgente, a liberare il cuore dell’opera e a offrircelo nella sua semplicità viva e palpitante.