Il “sisma delle chiese”, così è stato chiamato quello che ha fatto tremare l’Emilia Romagna nel maggio 2012. “Sei diocesi sono state colpite e 769 edifici legati alla Chiesa, di cui 350 chiese, sono stati danneggiati se non abbattuti” ha spiegato Don Mirko Corsini nell’ambito del convegno “Chiese Provvisorie e Ricostruzione post-sisma” svoltosi venerdì 20 gennaio 2017 presso Dies Domini Centro Studi per l’architettura sacra della Fondazione Cardinal Lercaro di Bologna.
Il convegno è stata l’occasione per la presentazione del volume di Claudia Manenti, responsabile del Centro Studi per l’architettura sacra, dal titolo “Architettura delle chiese provvisorie” (Bononia University Press, gennaio 2017, 200 pagine illustrate, 35,00 euro). La risposta all’evento distruttivo è stata non solo rapida, ma anche ben organizzata e in breve tempo ha permesso a molte delle comunità colpite dal sisma di tornare a celebrare in chiese costruite in prefabricazione. Intese come provvisorie, in attesa del ripristino di quelle storiche.
La rapidità della risposta messa in campo in Emilia è di notevole rilevanza perché la chiesa è da sempre luogo dell’identità, e la possibilità che le persone si ritrovino assieme per le celebrazioni è essenziale per la vita della comunità. Come ha evidenziato Don Corsini, lo Stato ha sopperito, equiparando le chiese a edifici pubblici (sotto il profilo giuridico sono intese come edifici privati) con questo permettendo l’erogazione di contributi rilevanti per la loro messa in sicurezza e per il loro restauro, in un arco di tempo relativamente rapido.
Ma per rapidi che siano, i restauri e gli interventi conservativi richiedono comunque molti mesi, spesso anni, mentre la comunità necessitano subito di spazi idonei al culto.
Per questo il Centro Studi bolognese subito dopo il sisma del 2012 ha attivato un Laboratorio di studio e di pratica progettuale che ha riunito 34 progettisti già esperti nel tema, e nel giro di due mesi ha proposto diversi progetti per chiese di rapida esecuzione, che compaginano organizzazione spaziale consona con le finalità liturgiche e disegno significativo dell’insieme.
Nel presentare questa iniziativa, Claudia Manenti ha affrontato il problema della provvisorietà, che risulta particolarmente gravoso per un edificio come quello della chiesa, chiamato a testimoniare la presenza e l’azione della comunità per generazioni e per secoli; nonché quello della congruenza tra progetto e finalità liturgiche di edifici che a volte – come è accaduto anche a seguito dei terremoti del Friuli nel 1976 e nella zona dell’Aquila nel 2009 – sulle prime sono destinati al culto ma più oltre, quando torna agibile la chiesa storica, possono restare come luogo di servizio per la comunità. Mentre in altri casi la chiesa prefabbricata in fretta diviene “pseudoprovvisoria”, perché finisce per restare nei decenni, e nei secoli – com’è accaduto per alcune delle “chiese-baracca” erette a Reggio Calabria dopo il terremoto che la colpì nel 1908.
L’architetto Barbara Fiorini ha riferito su come si sono svolti gli incontri nell’ambito del Laboratorio, che ha portato alla compilazione di 8 progetti di chiese da realizzarsi in prefabbricazione, elaborati da 8 gruppi di professionisti. Mentre l’ingegner Luca Venturi, a conclusione del convegno, ha illustrato i procedimenti seguiti nei cantieri che hanno portato alla realizzazione, in pochi mesi, di alcuni dei progetti elaborati nell’ambito del Laboratorio. È accaduto infatti che alcune comunità hanno scelto tra i progetti uno di loro gradimento lo hanno costruito.
Questo è avvenuto per Renazzo (Bologna), dove è stata eretta una chiesa secondo il progetto esecutivo elaborato dalla stessa Barbara Fiorini e da Gianlorenzo Ingrami; per la parrocchia di Sant’Agostino (Ferrara) dove è stata realizzata la chiesa dalle pareti autoportanti progettata da Raffaella Piva; per Mirabello (Ferrara) dove è stata realizzata la chiesa progettata da Salvatore Fazio; e per Crevalcore (Bologna) e Penzale di Cento (Ferrara) dove è stata realizzata la chiesa progettata da Claudia Manenti e Luca Venturi. Questi progetti, a ulteriore dimostrazione della flessibilità dell’opera intesa come “provvisoria”, sono stati in realtà “personalizzati” in relazione alle specifiche richieste delle comunità e dei luoghi cui sono stati destinati.
Il volume di Claudia Manenti, oltre a quelli realizzati, illustra in dettaglio tutti i progetti compiuti a titolo di studio nell’ambito del Laboratorio. Sono quelli elaborati dai gruppi composti da Pietro Barani, Maicher Biagini e Francesca Marcheselli; da Raffaella Piva e Salvatore Fazio; da Marzia Zamboni, Fabio Paoletti e Romano Santi; da Cristiano Ferrari, Aldo Barbieri, Carlo Bertolotto; da Leonardo Palladini, Stefano Ricchi, Lisa Roveri e Maddalena Dall’Agata; da Barbara Fiorini, Lorenzo Ingrami e Maurizio Martinuzzi; da Claudia Manenti, Antonio Marchesi, Giulia Reatti, Roberto Vanzini e Luca Venturi; da Davide Calanca, Sandra Losi, Alessandro Servalli e Roberto Tranquilli.
Sono progetti che restano come argomento di studio e dimostrazione della possibilità di operare con la prefabbricazione, unendo sensibilità liturgica ed espressività segnica. Questi progetti sono stati pensati come parte del “genius loci” della pianura emiliana e sono adattabili a diversi contesti.
Oltre al rapporto su quanto è avvenuto attorno al Laboratorio di studio, il volume offre un’ampia documentazione su come si sia risposto con strutture di rapida realizzazione in particolare agli eventi sismici di Friuli e Abruzzi.
Un saggio di Fernando Esteban Cobián indaga sul rapporto tra luogo per il culto e gli spazi aperti, portando l’attenzione sul significato dell’architettura come espressione identitaria nella specificità di eventi quali le moltitudinarie manifestazioni organizzate per i viaggi papali.
Ma l’attenzione al rapporto tra spazio costruito e sistemazione liturgica accompagna tutta la ricerca che trova espressione in questo volume dedicato alle chiese provvisorie e al dialogo che esse intrecciano con lo scorrere delle vicende umane: tra provvisorietà e permanenza, tra tecnologia ed espressività. Così che questo libro si presenta come un unicum nell’ormai vasto panorama della pubblicistica collegata alla progettazione dello spazio per il culto.