Con questo articolo, Edoardo Milesi comincia la sua collaborazione con Jerusalem. I suoi articoli e commenti usciranno con cadenza mensile.

Capitolo 1

Progettare luoghi di culto multireligiosi o interreligiosi

di Edoardo Milesi

È bene che cominci presentandomi: a un recente convegno tenutosi in un teatro con più di 500 persone, Giovanni Gazzaneo, elogiando i miei progetti – alcuni dei quali dedicati allo spazio per il culto – ha ritenuto di precisare che non sono un credente. In realtà non è vero che non sia credente: non sono un praticante e questo perché, pur avendo sessantatré anni, non so ancora bene a che cosa e soprattutto a chi credere. Tuttavia sono assolutamente convinto che credere in un Dio, praticare una religione, vivere, ha a che fare con abitare questa terra. Un bisogno primario, ma soprattutto collettivo il cui collante è sapere – per alcuni probabilmente solo a livello inconscio – che esistere dipende da qualcosa di sublime, di ordine superiore.

In questa rubrica parlerò di alcuni progetti attorno alla religione cattolica e lo farò in base alle mie esperienze dirette e ai miei dubbi. Nulla di esaustivo e definitivo, solo un tentativo di scambiare opinioni con chi lo riterrà utile.

Questo primo capitolo ruota attorno alla progettazione di luoghi interreligiosi o multi religiosi.

Nel pensare a questo tema, ricordo anzitutto che a Biella, all’interno della Cittadella dell’Arte, nel suo museo personale, Michelangelo Pistoletto ha progettato un manufatto artistico (Luogo di raccoglimento multireligioso e laico 2000-2005) grazie al quale è possibile pregare contemporaneamente nelle tre religioni monoteiste. Tre spazi: la cui identità è definita da segni pregni di significato. Tuttavia questi segni sono tali da non ammettere fraintendimenti e neppure da stabilire relazioni tra loro – se non un generale senso di potenziamento dell’energia positiva.

Cittadella dell’Arte. Luogo di raccoglimento multireligioso e laico 2000-2005

 

Per capire come progettare un luogo di culto interreligioso occorre avere l’idea di cosa si deve intendere per luogo di culto e, prima ancora, di cosa sia un “luogo”. Quindi un architetto deve chiedersi a che cosa può servire tutto questo. Il progetto infatti implica un guardare avanti visionario allo scopo di modificare in meglio i comportamenti e gli stili di vita.

Aristotele dà del luogo una definizione precisa: il luogo di una cosa è il bordo interno di ciò che circonda la cosa, quel che le sta attorno. Cartesio non la vede esattamente così, e definisce il luogo come uno spazio matematico che esiste anche dove non c’è nulla, in tal modo rendendo concepibile anche l’infinito in quanto successione di parti finite.

La differenza è che Cartesio e Newton definiscono lo spazio in base alla sua dimensione e al suo tempo, mentre Aristotele lo intende per le cose accadono al suo interno. Qesto perché per i greci classici le cose non costituivano un “fatto”, ma un “farsi”. Le cose non sono: accadono.

Il geografo Franco Farinelli afferma che lo “spazio” esiste per le sue misure, ma cessa di esistere come tale e diventa “luogo” quando la distanza tra il soggetto e l’oggetto non è più misurabile: il che accade quando iniziano tra loro delle relazioni.

Le relazioni, a causa della loro qualità, accorciano o allungano le distanze tra soggetto e oggetto; o forse è meglio dire che la loro distanza, anche senza movimento, cambia continuamente. E questo non riguarda solo le relazioni tra esseri viventi, ma anche tra gli esseri viventi e le cose, gli odori, i rumori e i sapori. Questi infatti sono tutti elementi in grado di rievocare emozioni esperite in altre relazioni e quindi in altri luoghi. Relazioni che avvengono certamente in un tempo definito: ma questo tempo diviene poi indeterminabile, poiché resta modificato dai ricordi che sono in grado di modificare i tempi e gli spazi, a loro piacimento. La memoria infatti è in grado di parlarci con un proprio linguaggio, che va ben oltre lo scorrere del tempo e lo stratificarsi degli eventi.

Con i profumi e i suoni costruiamo le architetture invisibili che stanno dentro di noi che rievocano altre relazioni e quindi altri luoghi, altre situazioni che abbiamo già vissuto o anche solo sognato e che la nostra mente rielabora in funzione dei nostri nuovi sentimenti e comportamenti (cfr ArtApp sul “luogo” https://www.artapp.it/single-post/Il-Luogo).

Il luogo di culto

Il luogo di culto, a mio avviso, è là dove viene custodita l’identità di una comunità. L’identità, come la storia e la memoria, non è un fatto, ma un farsi: un processo, una costruzione sempre nuova, anche se di una novità condizionata. Inoltre un luogo non nasce sacro, ma lo diventa in funzione delle relazioni che riesce a creare e a custodire. Uno spazio diventa luogo sacro attraverso le relazioni che lì dentro avvengono ed è su queste relazioni che l’architetto deve riflettere quando pensa all’architettura di quel luogo. Se tutto questo è vero, cerchiamo di pensare al progetto di un luogo di culto multireligioso o, più esattamente, a qualcosa che possa farlo nascere – visto che l’opera dell’architetto deve limitarsi a innescare un processo.

Santuario di Altino

Mi è capitato di riflettere su questo tema quando mi è stato chiesto di occuparmi del Santuario della Madonna di Altino, un luogo fino a qualche decennio fa molto frequentato e ricercato e che oggi, uscito dai circuiti del pellegrinaggio, è stato quasi dimenticato.

Il complesso del Santuario di Altino, in valle Seriana, nella bergamasca, è una stupenda oasi di solitudine, immersa nella natura di una montagna in gran parte incontaminata. È un luogo dove è piacevole incontrarsi, festeggiare, godersi il panorama e passeggiare in compagnia. Un luogo privilegiato perché da lì si vede la “grande strada” di Dostoevskij: “la grande strada è qualcosa che sembra non avere fine: è come un sogno umano, la nostalgia dell’infinito”. È ovviamente un luogo di preghiera per tutti e lo può essere per ogni religione. Altino è un luogo che non si può non amare e lo sarebbe anche senza il Santuario; ma con questo diventa un luogo di pellegrinaggio, un luogo “religioso”. Il cardinale Tomás Spidlik disse “…proprio come la preghiera e l’elemosina, il pellegrinaggio è una delle forme naturali della pietà”.

Gli Amici del Santuario mi hanno chiesto di ripensare questo spazio per riportarlo alla sua originaria frequentazione. Pensavano a qualcosa di iconico, così che possa tornare a essere un importante riferimento per la nostra religione e la nostra cultura. Ma quale altra cosa può potenziare il valore dell’identità, di una cultura, se non proprio il confronto, il dialogo con altre religioni tanto diverse e forse tanto intimamente uguali?

È con questi rinnovati sentimenti che con gli Amici del Santuario di Altino ci siamo imposti di recuperare i volumi, in gran parte ora inutilizzati, affinché qui, dove è possibile isolarsi a meditare, ci si possa anche incontrare per conoscersi meglio, perché persone di diverse culture e religioni possano finalmente parlarsi e confrontarsi: affinché il dialogo e la preghiera possano aiutarci a trascendere le montagne.

È l’uso – il buon uso – che trasforma uno spazio in un luogo e questo vale per il culto come per qualsiasi altra azione umana. Per questo il progetto prevede, come prima tappa, null’altro se non la ristrutturazione della Casa del Pellegrino: perché sia l’ospitalità il primo, garbato intervento nel Santuario di Altino. Perché attraverso l’ospitalità conosceremo e faremo conoscere.

Il pellegrinaggio è comune a tutte le religioni: è nella natura umana. Diviene professione di fede nel momento in cui si manifesta come ammirazione del mondo, della materia, della creazione; ma assume la dimensione della vera e propria fede nel momento in cui diviene incontro con gli altri, con gli sconosciuti.

 

 

SHARE
Previous articleCIMITERI: NELLA CITTÀ, COME CITTÀ
Next articleAddio Valentino Vago, pittore della luce!
Edoardo Milesi
Architetto, fonda nel 1979 lo studio Archos orientandosi da subito, attraverso la partecipazione a concorsi di progettazione, verso un costruire fortemente connotato da dettami ecologicamente regolati nell’ambito di una lettura “forte” della realtà. Nel 2008 fonda con un gruppo di artisti e architetti la rivista “ARTAPP” della quale è Direttore. Dal giugno 2009 è presidente del Comitato culturale della Fondazione Bertarelli. Nel 2012 fonda l’Associazione culturale Scuola Permanente dell’Abitare.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here