Concluso nel 2017, l’adeguamento liturgico della basilica di S. Andrea a Mantova si inserisce con garbo nell’architettura albertiana, pur affermando con nettezza una disposizione di elementi che per compattezza materica e per nitidezza di disegno compiutamente esprimono l’appartenenza a una stagione postconciliare giunta alla sua fase matura. Presentiamo l’intervento, elaborato da Paolo Zermani, attraverso le parole dello stesso progettista.

Sant’Andrea a Mantova. La facciata albertiana (foto courtesy Studio Zermani).

SUL CORPO DEL S.ANDREA

di Paolo Zermani

Per anni, entrando nel S. Andrea di Mantova, mi sono lasciato guidare nel buio dal riflesso che la lampada del grande oculo di facciata irradiava sulla volta di copertura, fino al transetto.

Quel mondo oscuro, dovuto all’azione del fumo delle candele e degli oli ormai integrato alle pareti, sospendeva nella traccia luminosa in sommità l’indicazione del percorso verso un luogo presbiterale composto da confuse alterazioni, pedane, vecchi mobili di sagrestia, altari provvisori, leggii improvvisati.

Le pareti albertiane, da tempo non più candide, alterate dagli apparati decorativi settecenteschi a loro volta mascherati dalla fuliggine, lasciavano che la incerta cometa formatasi tra oculo e volta, riesumasse quotidianamente l’indistruttibile natura primaria del corpo dell’edificio, consistente nella navata.

La luce del tempo indicava la verità da osservare.

S. Andrea, la navata prima dell’intervento; a sinistra l’ottagono balaustrato (foto tratta dal Web).

Le origini e Leon Battista Alberti

Come noto, l’origine del culto legato all’edificazione della Basilica di S.Andrea è dovuto alla tradizione che vuole trasportate a Mantova da un legionario romano, Longino, le reliquie del sangue di Cristo.

È questa l’originaria motivazione, non disgiunta da finalità di carattere politico, che spinge Ludovico Gonzaga, intorno al 1470, a scegliere il progetto di Leon Battista Alberti come spazio adatto, nella propria grandiosità, a ospitare tale testimonianza della cristianità.

La lettera con cui Alberti rappresenta al marchese la propria volontà di occuparsi del progetto per la Basilica di S.Andrea, esclude senza mezzi termini qualsiasi aspirazione a un’ idea di contemporaneità improvvisata o improvvisabile.

Ceterum io intesi a questi di che la S.V. et questi vostri cittadini ragionavano de edificare qui a Sancto Andrea – scrive l’architetto – et che la intenzione principale era per havere gram spatio dove molto populo capesse a vedere el sangue de Cristo. Vidi quel modello del Manetti. Piaqquemi. Ma non mi par apto a la intentione vostra. Pensai e congettai questo qual io vi mando. Questo sarà più capace più eterno più degno più lieto. Costerà molto meno. Questa forma de tempio se nomina apud veteres Etruscum sacrum. Sel ve piasera daro modo de rectarlo in proportione”.

Alberti insiste sul carattere di novità che permea il progetto, ma l’idea è che un grande spazio, capace di accogliere la moltitudine delle genti spinte dalla devozione per la reliquia trasportata a Mantova, adotti un principio costruttivo, quello della grande volta poggiata sui due muri laterali, con un organismo murario puro, che egli stesso definisce etrusca.

Ancora prima che Luca Fancelli diriga per lui, nel frattempo scomparso, la costruzione di quell’iniziale frammento è dunque chiaro che la contemporaneità cerca le proprie ragioni nel già stato e si può manifestare solo come sua conseguenza critica.

Alberti sembra voler andare oltre la prevedibile ingegnerizzazione romana per riferirsi a una cultura del costruire, quella etrusca, in cui i confini tra vita e morte dell’architettura, quindi della costruzione, non esistono se non come continuità. È attraverso questo medium temporale che egli ottiene il risultato di un’aula di grande dimensione (una pianta la cui larghezza è pari a cinque sesti della lunghezza) con proporzioni maggiori di quelle della basilica con cappelle.

Immaginando la grande copertura per il luogo della devozione, riduce a un solo elemento costruttivo, il più antico, la straordinaria modernità della sua applicazione architettonica.

Ben poco si conosce, ancora oggi, dell’originario progetto albertiano, così come è difficile distinguere la parte di edificio progettata da Alberti se non l’impianto basilicale, con la grande copertura a volta, né si sa se esistesse in loco precedentemente una cripta. La cripta attuale è infatti da attribuirsi all’opera del Viani nel Cinquecento, così come la cupola, molto più tardi, sarà opera dello Juvarra.

Tuttavia le reliquie sono custodite, ormai da cinque secoli, nella cripta centrale all’impianto albertiano, tra il presbiterio e la navata, nel grembo della terra.

L’adeguamento

Il tema, che mi è stato affidato, di procedere all’adeguamento architettonico e liturgico, con la realizzazione del nuovo ordinamento di transetto e presbiterio, era quello di disegnare una rinnovata geografia della basilica, ove lo spazio, compromesso dall’Ottocento ad oggi da vari interventi con carattere temporaneo, trovasse riconoscibilità e senso.

S. Andrea, l’area prebiterale dopo l’intervento (foto courtesy Studio Zermani).

La cripta che, con l’ottagono balaustrato a cintare la collinetta costruita sulla sua sommità nel XIX secolo, occupa l’incrocio tra transetto e navata, parzialmente oscurando la vista dell’altare, è stata quindi il punto da cui ripartire: per ridare centralità a una geografia e a un’anatomia negate.

Sezione trasversale: la cripta e il transetto, col nuovo adeguamento.

È la cripta infatti, con la sua rilevanza d’impianto e di dimensioni, e con la propria sostanza concettuale, a suggerire la nuova disposizione dei fuochi, condizionata fortemente dall’emergere dell’ottagono che circonda il luogo di custodia delle reliquie.

A fronte di quanto sottolineato è apparsa conseguente la scelta di intervenire attraverso elementi puntuali, secondo una disposizione che, oltre a preservare rigidamente il dettato spaziale albertiano, ne confermi alcune direttrici fondamentali.

Il presbiterio e la prospettiva della navata dopo l’intervento (foto courtesy Studio Zermani).

I poli liturgici

Inseguendo la trama del corpo originario e delle sue successive deformazioni, alcune figure, i fuochi liturgici, si dispongono dunque dentro lo spazio: altare, ambone, sede vescovile, fonte battesimale. In questo modo si definisce un nuovo rapporto tra ciò che sta a quota sotterranea e la quota dell’aula.

Il complesso Altare, Sede, Ambone (foto courtesy Studio Zermani).

Il blocco basamentale del presbiterio viene avanzato, nella sua parte centrale, rispetto al perimetro definito dall’antica balaustra smantellata negli anni Sessanta, verso l’ottagono e il centro della cripta sottostante.

Qui l’altare è collocato sull’asse longitudinale dell’aula (e quindi della cripta sottostante) e ha dimensione 1,80×1,80 metri lineari.

Altare, particolare della base (foto courtesy Studio Zermani).

In forma di parallelepipedo, in marmo de Verona, è appoggiato su due elementi di base che lo sopraelevano rendendone possibile la percezione dell’aula.

Vista dall’alto dell’area presbiterale (foto courtesy Studio Zermani).

Così, sulla linea centrale della navata, il quadrato dell’altare, l’ottagono della cripta, il cerchio dell’oculo si susseguono inseguendo la struttura originaria del corpo dell’edificio.

La navata dal presbiterio: l’altare in primo piano (foto courtesy Studio Zermani).

La Sede Vescovile è pure collocata sull’asse longitudinale della basilica, così rafforzando il percorso che ha il suo fulcro nell’Altare. Si compone di un basamento, una seduta e uno schienale in marmo di Verona.

Altare e ambone (foto courtesy Studio Zermani).

L’Ambone, luogo della Parola, è collocato a sinistra dell’Altare e della Sede Vescovile. Si compone di un basamento gradonato in marmo di Verona che costituisce un percorso in salita, protetto dal lato esterno e infine chiuso nella parte terminale, in forma di elevata tribuna protesa verso l’assemblea. 

L’ambone nella prospettiva della navata (foto courtesy Studio Zermani).
Ambone, particolare del basamento gradonato e sollevato dalla pavimentazione  (foto courtesy Studio Zermani).

In questo punto sommitale un elemento, pure marmoreo, d’appoggio per il libro, evoca l’attesa della Parola.

Ambone, particolare del leggio (foto courtesy Studio Zermani).

Il Fonte Battesimale, collocato sull’asse traversale dell’aula, nel transetto nord-ovest, in prossimità dell’ingresso di sinistra è situato dopo la porta principale, in forma rettangolare, di dimensione 4,70×2,70 cm, in marmo di Verona. Si conforma come una vasca di spessore sottile, quasi una grande lastra scavata di altezza 20 cm, sollevata da terra tramite uno “scuretto” di altezza 5 cm. Una rampa, costituita da tre elementi, occupa la prima metà della vasca, consentendo il raccordo tra la quota superiore e la quota del fondo, quest’ultima colmata da un velo d’acqua. In asse con la porta laterale collocata nella facciata incompiuta del S.Andrea, il Fonte completa l’indicazione di tensione dello spazio verso il centro della basilica, rimettendo in gioco quella porzione di spazio.

L’ideale percorso di introduzione nella comunità cristiana avviene attraverso la discesa nella vasca, scendendo i due gradoni che ne occupano la prima metà, l’immersione simbolica nel velo d’acqua, la risalita verso l’altare e la reliquia custodita nella cripta.

Progetto disposizione poli liturgici: si nota la vasca del battistero nel transetto di sinistra.

Oggi il corpo parzialmente ricomposto del S.Andrea, ripreso e curato dal progetto nelle sue vicende temporali e nelle sue ferite, permane ancora in attesa del tempo in cui anche il fonte battesimale sarà realizzato.

Sezione longitudinale.

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