Rimarrà aperta la parte del convento che è Museo statale e la chiesa, ma non ci sarà più una comunità di frati e un convento senza frati non è più un vero convento“. Questo diceva la petizione firmata da oltre 18 mila persone perché il Convento di San Marco in Firenze restasse tale. Ma la petizione non ha avuto buon esito e del convento è stata decisa la chiusura. Il 22 giugno 2018 il Corriere Fiorentino, in un articolo a firma di Mauro Bonciani e Antonio Passanese riferiva: “Il generale dell’ordine dei Domenicani Bruno Cadorè ha firmato il decreto di soppressione del convento di San Marco. Chiude così la casa di Girolamo Savonarola, voluta da Cosimo dei Medici, del Beato Angelico, di Sant’Antonino Pierozzi, ma a n c h e dell’Umanesimo e molto più tardi del «sindaco santo» Giorgio La Pira“.

Chiude quindi come convento, resta come museo. Resta come memoria non come cenobio. Cambiano i tempi: la riduzione del numero di vocazioni presenta queste conseguenze. Prevalgono i criteri economici nei vuoti aperti dalle trasformazioni nella cultura religiosa. Ma restano alcune domande. Che diranno le pitture dell’Angelico sotto le finestre, sulle lunette, nei corridoi del convento, ai visitatori?

Beato Angleico, Annunciazione, Convento di San marco, Firenze (Wikipedia).

Se non avesse vissuto la vita del frate, l’Angelico non avrebbe dipinto con quella grazia sovrana universalmente ammirata. Come può recuperarsi l’esperienza di quel genere di vita per la quale l’insieme architettonico del convento fu concepito? Basta la condizione museale per rievocarne il senso?

Sono domande che si aprono al mondo della cultura e che in fondo si riferiscono alla più vasta problematica: quale sia il senso della vita consacrata, per la società nel suo complesso, per l’identità europea in particolare, dopo la grande ondata desacralizzante che ha attraversato il XX secolo.

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