A Firenze un vertice di direttori di grandi musei mondiali:

Museologia e Valori Arte e dignità umana nel XXI secolo

Intervista a Timothy Verdon di Michela Beatrice Ferri

Mons. Timothy Verdon.

Il 28 e il 29 Settembre 2018, su invito dell’Opera di Santa Maria del Fiore, a Firenze si radunano una ventina tra Direttori e Curatori di alcuni tra i più importanti musei a livello internazionale. Oltre a costoro, docenti di “Museum Studies” e architetti attivi nel campo museale: l’obiettivo è il dialogo sul compito del Museo, oggi, di trasmettere valori universali sottesi dai capolavori che ciascun museo conserva. Questo evento, primo nel suo genere, altamente innovativo nel suo progetto, coinvolge nve Paesi e prende avvio dal recente rinnovamento – che ha avuto luogo tra il 2013 e il 2015 – del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.

A partire dall’idea di portare alla comprensione del visitatore il messaggio cristiano delle sculture realizzate per il Duomo, per il Battistero, e per il Campanile fiorentini, Mons. Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera, ha deciso di lanciare ai colleghi delle grandi istituzioni questo invito. Il convegno, “Museology and Values. Arte e dignità umana nel XXI secolo” (https://museology.operaduomo.firenze.it/) costituisce uno degli eventi ufficiali dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale del Consiglio d’Europa, esso è patrocinato sia dall’UNESCO che dal MIBAC, è aperto al pubblico (con registrazione obbligatoria fino a esaurimento dei posti) e disponibile in streaming.

Museo del Duomo di Firenze. Ricostruzione della facciata originaria di Santa Maria del Fiore. (foto LS)

Mons. Timothy Verdon, coma è nata l’idea di organizzare questo convegno, un convegno per la prima volta dedicato alla relazione tra Museologia e Valori?

Anzitutto, l’idea nasce dalla recente esperienza di sistemazione del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore – un museo “site-specific”, per eccellenza, un Museo di Arte Sacra, che ospita opere realizzate per i monumenti della storia cristiana della città di Firenze. La necessità che avvertiamo è quella di restituire una narrazione che possa portare alla comprensione di come Firenze si è storicamente posta come centro culturale: siamo nel periodo dell’Umanesimo, e Firenze raccoglie una pesante e al contempo importante eredità, che è Greca, che è Romana, e che è Cristiana e ovviamente Occidentale. Il nostro museo è nato nel 1891 per accogliere statue, dipinti e oreficerie ritirati dal Battistero, dal Duomo e dal Campanile. Ricordiamo che il Museo sorge sulla stessa piazza dominata da questi monumenti, e l’obiettivo museologico è sempre stato, fin dall’inizio, di organizzare i reperti così da permettere ai visitatori di collegarli agli edifici sacri, favorendo una lettura globale dei messaggi trasmessi dagli edifici e dai loro arredi artistici. Ciò non solo a scopi pastorali (anche se gli edifici e le opere hanno ovvio carattere religioso), ma per coinvolgere i visitatori nell’unico processo creativo che ha generato sia i monumenti che le opere ora al museo. Gli artisti del passato erano tenuti infatti a comunicare i messaggi voluti dal committente, e le loro scelte stilistiche miravano a questo obiettivo, così che per far capire l’arte “come arte” il Museo doveva renderne affascinante il significato. In un altro museo le opere possono avere diversa provenienza: da qui la necessità di un codice della narrazione, di una narrazione che restituisca al visitatore il senso dell’opera inserita nel contesto museale.

Lei dunque ha compreso che è di fondamentale importanza dialogare sulla questione del tipo di fruitore delle opere dei Musei. Perché, dunque, parlare di Valori?

Perché siamo nel 2018 e ormai capiamo di essere giunti quasi a compimento, o al termine, del processo di globalizzazione avviatosi come ben sappiamo a partire dagli anni Novanta. La “Museologia” è sempre stata considerata una disciplina d’élite: la Museologia ha bisogno di ri-studiarsi, e di rinnovarsi. Il visitatore dei Musei del mondo non è più lo stesso. Abbiamo di fronte a noi generazioni nuove, figlie del processo di globalizzazione. Penso al Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore: il visitatore può venire dall’Est del mondo ma anche da un’altra fede religiosa. Cambia non solo il continente, non solo la religione, ma cambia la mentalità, il modo di vedere il mondo. Già nella Firenze dell’Umanesimo e del Rinascimento, la sintesi culturale era operata sulla base dell’eredità Greca e Romana, oltre che Medievale. La sintesi era fondata, però, su un senso profondo di “Umanità”: è il legame con questo valore che va richiamato. L’adesione di tanti professionisti all’idea, oltre a costituire un riconoscimento del nuovo Museo dell’Opera, è un tributo a Firenze, che tra il ‘400 e ‘500, insieme alla Roma papale, diede vita alla museologia moderna: all’arte cioè di esporre l’arte – prima nelle chiese, poi nei palazzi privati, e infine nella galleria del principe agli Uffizi, come già nei palazzi pontifici. Tale fu la forza del collezionismo fiorentino che anche il Libro dei segreti risultanti dai pensieri dell’andaluso Khalif al Muradi – lo stupefacente manoscritto di ingegneria meccanica del XI secolo esposto in forma virtuale al Museum of Islamic Art di Doha – sopravvive nell’unica copia esistente a Firenze, alla Biblioteca Laurenziana Medicea. Partecipa al convegno, infatti, il curatore responsabile del Museo di Doha, insieme a colleghi dal Vaticano e Berlino, San Pietroburgo e Washington, Londra, Mannheim, Siviglia, Torino, Milano, Venezia, Palermo e ovviamente dalla stessa Firenze.

Realizzando il nostro nuovo museo, ci siamo trovati a parlare di valori universali: di percezioni di bontà e saggezza umana radicate nella storia di molti popoli, che attraverso millenni hanno plasmato atteggiamenti, comportamenti, aspettative. Abbiamo compreso che nel modo in cui esponevamo le opere avremmo spiegato il passato, interpretato il presente, anticipato il futuro, anche per la speciale e nuova categoria di persone dislocate da guerre e necessità economiche che magari oggi non frequentano i musei ma che domani verranno per acquisire informazioni sulla cultura in cui sono venuti a trovarsi. I grandi valori del passato europeo – ciò che i nostri avi considerarono moralmente, oltre che fisicamente, bello – offriranno chiavi per capire chi noi siamo oggi e come gli altri potranno vivere, lavorare, sognare con noi. I musei sono – e sempre più saranno – strumenti di inclusione, luoghi di cittadinanza.

Qual è il senso del legame tra “Arte” e “Dignità”?

I giovani, e noi pensiamo anche ai “Nuovi Italiani”, vengono nei musei in ricerca d’identità: nel modo in cui esponiamo l’arte, possiamo aiutarli a dar forma a un senso della loro propria dignità. Attraverso le nostre letture della storia e dei linguaggi espressivi d’altri tempi, riusciamo a colmare l’abisso che oggi separa il presente dal passato e che rende i giovani consapevoli del passato seppure in una contemporaneità priva di radici. Queste sono le domande che abbiamo posto ai relatori e partecipanti alle tavole rotonde, a cui abbiamo anche chiesto la disponibilità a emanare insieme una “mission statement” – una dichiarazione di comuni principi – sul ruolo dei musei nel nostro tempo.

Arnolfo di Cambio. Madonna con gli occhi di vetro, inizi XIV secolo. Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. (foto LS)

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