Capitolo 6

I luoghi della memoria sono luoghi sacri, sono luoghi dove la vita, ancor più se di una santa, oltre che ricordata, è celebrata attraverso scritti, oggetti, studi, testimonianze anche di altre vite.

L’allestimento di mostre e musei resta una delle cose che più mi affascina e ogni volta mi coinvolge in modo diverso. Sarà questo entrare tra le opere, gli oggetti personali, i racconti nella vita delle persone, nel loro rapporto col mondo, con la gente, rubare il loro punto di vista sulla condizione umana.

Tra il 2007 e il 2011 ho progettato e realizzato due musei per celebrare la vita di due donne beatificate.

Museo Beata Pierina Morosini, a Fiobbio di Albino (BG), l’entrata.

Il 27 ottobre 2007 è stato consacrato il museo per la Beata Pierina Morosini a Fiobbio di Albino (Bg), il 20 febbraio 2011 quello di Geltrude Comensoli, fondatrice dell’ordine delle Sacramentine, a Bergamo. Entrambi i progetti mi hanno visto coinvolto in ulteriori collaborazioni: del progetto per l’altare e l’ambone della Chiesa delle suore Sacramentine ho già scritto in un capitolo precedente; ora descrivo il progetto di una minuscola cappella che avrebbe concluso il percorso museale di Pierina Morosini.

Nel Museo della Beata Morosini la breve vita di Pierina è raccontata lungo un percorso. Un cammino di fede che abbiamo voluto legare ai suoi luoghi e agli eventi, lungo il quale il visitatore, guidato dalle frasi che Pierina amava appuntare sui suoi quaderni – quasi a prepararsi a un destino annunciato – riuscirà a percepire il suo distacco per le cose terrene, desiderosa solo di seguire il percorso indicatole da Gesù e riservatole da Dio.

Museo Beata Pierina Morosini, a Fiobbio di Albino (BG), gli oggetti che raccontano una vita.

Ci serve anche una piccola cappella che possa lasciare il segno”. Questa la richiesta di Don Dario, che ho incontrato nel mio studio a poche centinaia di metri dal luogo dell’aggressione della Beata Pierina Morosini.

Ho accettato pur sapendo che l’austera chiesa parrocchiale col suo possente volume in sasso e il sito, già affollato da altri edifici, avrebbero messo a dura prova la mia creatività.

Dovevamo dare alla cappellina una sua individualità. Un corpo distinto che non compromettesse l’impianto parrocchiale e che fosse in grado di annunciare, attraverso l’architettura, un luogo interno intimo e discreto, assolutamente inaspettato rispetto al contesto. Inoltre volevo che l’involucro architettonico avesse da solo un forte valore evocativo.

Il messaggio che vorrei trasmettere all’interno di questo ambiente, luogo finale di un percorso anche museale, è la rapidità e la risolutezza con cui Dio ha rivoluto a sè la giovanissima Pierina. Non sono straordinarie le tracce della sua vocazione a Dio, abbastanza consuete a quei tempi per ragazze cresciute in famiglie dove la fede rappresentava anche una medicina di sopravvivenza. L’atmosfera del museo e della cappella dedicate alla Beata Pierina Morosini devono perciò, secondo me, trascendere la figura di devota serva di Dio e portare immediatamente al mistero.

Mi confidai così con don Dario e cominciai a pensare a quel luogo dall’interno.

La luce, da sola, dovrà creare la necessaria atmosfera drammatica del sacrificio, ma contemporaneamente infondere un forte senso di energia e di calore. Dovrà arrivare dall’alto e da est. La cappella di Pierina Morosini dovrà possedere una serena atmosfera mistica carica di pace. L’ingresso alla cappella avverrà attraverso una sorta di portale a tunnel, spoglio e angusto come l’ingresso a una catacomba, totalmente afonico e all’inizio privo di luce, per creare una trepida attesa al luogo mistico successivo.

Qui nella piccola aula la sensazione deve essere quella di sentirsi sollevati verso l’alto, di camminare nella luce. La luce deve ovattare tutto. Pareti, soffitto e pavimento devono confondersi. I riferimenti spaziali perdersi affinché la parola e la luce siano gli unici protagonisti.

Cappella del Museo di Pierina Morosini, la maquette.

Da una vita fragile fatta di quotidianità, sofferenze, convinzioni, dedizione, speranza, fede, sacrificio, al mistero della luce.

La parete del presbiterio è inclinata, a sostenerla è la copertura che scende verso sud-est e trattiene una porzione in vetro che lascia penetrare una lama di luce a creare un drammatico centro focale alle spalle del celebrante. Tutti gli altri elementi strutturali si devono fondere nello spazio interno. Unico elemento cromatico diverso sono gli otto banchi in legno grezzo di quercia.

Il pavimento dello stesso materiale e colore delle pareti è leggermente inclinato verso l’altare affinché la luce proveniente dall’alto scorra sulla parete del presbiterio e scenda verso i fedeli. Le altre aperture, necessarie anche alla ventilazione naturale dei locali, sono poste alla fine del tunnel di fronte al celebrante il cui altare è posto sull’asse est-ovest.

La forma vista da fuori sarà quella di un grande masso grigio.

Il museo per le Suore Sacramentine invece è anche l’occasione per fare il punto della storia del loro Istituto, dalla fondazione alla canonizzazione della sua fondatrice.

Museo delle Suore Sacramentine, l’ingresso.

Pensato come un percorso storico a rovescio, dai giorni nostri al progetto della Chiesa dell’Adorazione, si articola in 7 sale tematiche, ognuna con una propria atmosfera. Ma proprio la chiesa, voluta da Geltrude Comensoli, è il costante punto di riferimento, il collante attorno al quale il museo si concatena.

MUGEC, il percorso espositivo.

Spiragli di vedute sull’altare della chiesa sono il continuo rimando e filo conduttore a quello che è il vero fondamento dell’Ordine delle suore Sacramentine, il culto del SS. Sacramento. Lungo il percorso, su grandi lastre di plexiglass appese al soffitto, compaiono come ologrammi a grandezza naturale, alcune sorelle che leggono i passi fondamentali della loro storia.

Immagini delle Suore Sacramentine, come ologrammi nell’ampiezza dello spazio.

20 febbraio 2011 Inaugurazione del Museo Beata Geltrude Comensoli (MUGEC).

MUGEC, ricostruzione della stanza della Santa.

In genere sono severo verso i miei lavori appena ultimati, ma di questo sono soddisfatto da subito. Oltre al mio staff, in quest’opera dove l’architettura si mescola al design, alla grafica, al restauro, alla ricerca iconografica sono stati coinvolti 3 fotografi, un regista, molte sorelle Sacramentine. Mi pare si siano realizzati gli obiettivi del progetto: avere uno spazio accattivante in cui racchiudere elegantemente i passi importanti compiuti dall’istituto dalla sua fondazione a oggi. Ma anche un luogo didattico, che è la missione delle suore Sacramentine, e allo stesso tempo uno strumento e un’occasione di riflessione per le sorelle sparse per il mondo. Ci mancheranno i loro sorrisi che ci hanno accolto ogni mattina all’arrivo in questo istituto, vera oasi in mezzo alla città caotica e scomposta.

La sala che mostra la diffusione delle Suore Sacramentine nel mondo.

Certamente questo ha contribuito fortemente alla buona riuscita e all’armonia dell’opera e sarà questo il ricordo principale che mi resterà di questo lavoro.

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