Di Giorgio Gualdrini
Dopo una cinquantina d’anni di sperimentazione e un concorso nazionale indetto nel 1989 ma rimasto senza sbocchi esecutivi l’adeguamento liturgico della cattedrale di Faenza è stato realizzato nel 2014.
Dopo l’inaugurazione il nuovo assetto del presbiterio è stato oggetto di alcune critiche ma anche di autorevoli assensi, a testimoniare per l’ennesima volta quanto sia difficile ottenere un consenso unanime intorno agli interventi d’arte o architettura contemporanea in contesti antichi. Gli adeguamenti liturgici non sono infatti sfuggiti al vortice delle polemiche. Basti ricordare il recentissimo intervento dell’artista Claudio Parmiggiani nella basilica di santa Maria Assunta a Gallarate (2018), quello dell’architetto Paolo Zermani nel sant’Andrea di Mantova (2017) e, un po’ più addietro nel tempo, l’adeguamento liturgico condotto da Claudio Parmiggiani, Jannis Kounellis, Ettore Spalletti e Hidetoshi Nagasawa nella cattedrale di Reggio Emilia (2011).
Quando, nel 2013, il vescovo Claudio Stagni mi assegnò l’incarico per l’adeguamento liturgico del presbiterio della cattedrale di Faenza una delle questioni più delicate apparve subito quella del posizionamento della cattedra episcopale e dei sedili dei due diaconi. Elaborai anche alcune ipotesi che ne prevedevano l’appoggio sulla pavimentazione del presbiterio in modo da renderli complanari con il nuovo altare e il nuovo ambone
L’esito non convincente delle varie simulazioni (il presbiterio faentino è abbastanza piccolo) riportò tuttavia alla conferma della localizzazione all’ultimo stadio della gradinata dell’altare settecentesco, da 50 anni divenuto una sorta di quinta architettonica priva di significati liturgici.
C’è peraltro da evidenziare che il tabernacolo dell’altare maggiore mai era stato utilizzato come residenza eucaristica.
Poco dopo l’inaugurazione, in un articolo per la rivista “Arte Cristiana”, avevo peraltro sottolineato che “l’allineamento altare-cattedra lungo l’asse longitudinale della basilica non appare tuttavia ottimale in quanto, seppur riconducibile ai modelli paleocristiani, determina un’eccessiva lontananza del vescovo dal popolo che partecipa alla liturgia, riservando solo al clero (nelle concelebrazioni solenni) quella circolarità comunionale auspicata dal Concilio Ecumenico Vaticano II” (n. 893, CIV, p. 86).
Nel corso dell’iniziale verifica degli ingombri dei vari arredi liturgici non era stata presa in considerazione la possibilità di omettere l’esecuzione di ambedue i sedili per i diaconi. Uno dei requisiti del progetto fu peraltro quello della reversibilità dei nuovi poli liturgici realizzati in pietra onice bianca con leggere incisioni trattate a foglia d’oro.
Ora, facendo tesoro delle osservazioni critiche di alcuni liturgisti, teologi e biblisti, cominciai a riprendere in mano gli studi preliminari, accennandone al nuovo vescovo Mons. Mario Toso che mi incoraggiò a proseguire questa ricerca.
Ora, utilizzando l’esistente pancale di destra anche come seduta per i diaconi, la cattedra episcopale ha potuto trovare la propria sede vicino alla parasta di testa del presbiterio lungo la linea di contatto con il transetto. Collocata su un’essenziale predella con il piano di calpestio in legno di castagno la cattedra ha ora la spalliera appoggiata a un pannello in acciaio brunito. Esso è sviluppato in altezza per facilitarne la percezione visiva da parte dei fedeli. Anche questa nuova struttura, autorizzata dalla Soprintendenza di Ravenna, è stata realizzata in semplice appoggio sulla pavimentazione rendendo praticabili, in futuro, eventuali ripensamenti. La cattedra, orientata verso l’ambone, permette inoltre al Vescovo di condividere con il popolo di Dio l’ascolto delle Sacre Scritture. La nuova disposizione è stata inaugurata la vigilia di Natale del 2018.
Il nuovo parroco della cattedrale ha, nel frattempo, avviato una sperimentazione intorno all’assetto del vecchio altare maggiore, sul quale mi sento di formulare due domande. È opportuno che il dossale sia caratterizzato dal ripristino del tradizionale allineamento di statue e candelieri ingenerando il possibile equivoco di un “secondo altare” con rilevanza liturgica seppur privo della tovaglia bianca? Oppure risulta più conforme alla semplicità dei nuovi poli della liturgia postconciliare un dossale con il solo crocifisso quattrocentesco, il segno cristiano sul quale si erano potuti concentrare gli sguardi dei fedeli e dei visitatori in questi ultimi quattro anni?
Giorgio Gualdrini